Categoria Decreto immigrazione 2018

Iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo: Inammissibile il reclamo del Ministero dell’Interno contro l’ordinanza

Il Tribunale di Firenze – Sezione specializzata per l’immigrazione, la protezione internazionale e la libera circolazione –  ha dichiarato inammissibile il reclamo del Ministero dell’Interno contro l’ordinanza che aveva dichiarato il diritto del requisito all’iscrizione anagrafica di un richiedente asilo.

 

Nell’ordinanza del 27 maggio 2019 il Tribunale si sofferma sui rapporti tra il Sindaco ed il Ministero dell’interno nella materia anagrafica, escludendo che quest’ultimo ricopra una veste processuale di contraddittore necessario.

Il Tribunale condivide l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato che ritiene ” di poter ravvisare un rapporto di gerarchia in senso tecnico e tradizionale tra il Prefetto e il Sindaco quale ufficiale di stato civile, ritenendo in definitiva che il Sindaco quando agisce quale Ufficiale del Governo lo fa in quanto titolare della funzione pubblica della tenuta dell’anagrafe, come unico soggetto individuato dalla legge stessa a svolgere quel dato compito. Spettano invece al Ministero poteri di vigilanza, indirizzo e, nei casi di inerzia, poteri sostitutivi ex art. 54 comma 11 del DPR. n. 267 del 2000.

Lo stesso Ministero dell’Interno, d’altronde, non ha contraddetto tali conclusioni  nella memoria autorizzata, ricorda il Tribunale.

Sulla legittimazione ad impugnare il provvedimento il Tribunale ricorda: “E’ chiaro che se il Ministero interviene in primo grado o in prima fase, ha la legittimazione a impugnare”
Tuttavia, nel caso di specie, il Ministero non è intervenuto in prima fase e pertanto non è legittimato a proporre il reclamo, concludono i giudici.

Infine il Tribunale ricorda che :”La decisione del giudice, anche se in fase d’urgenza, non impone al Comune di proporre reclamo, ben potendo l’ente valutare le argomentazioni del giudice, a cui è demandato il compito di applicare la legge e di ricostruirne il significato secondo una serie di criteri. Vale la pena di sottolineare che tali argomentazioni non sono semplicemente diverse da quelle sottese al diniego del Sindaco, ma tendono a riportare il quadro normativo in una cornice costituzionalmente corretta”.

A tal proposito viene ricordato come si siano già pronunciati il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 2.5.2019 e il Tribunale di Genova, con ordinanza del 22.5.2019: “tutti i provvedimenti hanno offerto una lettura delle modifiche apportate dall’art. 13 del dl.113/2018 nella materia in esame coerente con il complessivo quadro costituzionale e eurounitario, esercitando il potere, ma anche il dovere, di interpretazione orientata al rispetto delle norme costituzionali ed eurounitarie. Del resto, anche l’Associazione Nazionale Ufficiali di Stato civile e d’anagrafe ha evidenziato i problemi interpretativi della nuova norma auspicando un intervento della Corte costituzionale (v. sul punto ordinanza di Bologna). Di fronte ad un’interpretazione giurisdizionale che consente di non porsi in contrasto con la Costituzione, è corretta la decisione del Comune di non proporre reclamo”.

Alla luce di quanto osservato i giudici del tribunale di Firenze concludono che “il Ministero non ha legittimazione passiva rispetto al ricorso di prima fase e non è litisconsorte necessario. Non ha legittimazione a impugnare quale litisconsorte necessario pretermesso”. Esso
“avrebbe potuto intervenire volontariamente nel processo di prima fase, e in tal caso sarebbe stato legittimato a proporre il reclamo; non avendo esercitato tale facoltà, non è ora legittimato a farlo. Il reclamo deve dunque esser dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione del Ministero, e non possono essere esaminate tutte le questioni preliminari o di merito che presuppongono la corretta instaurazione del procedimento di reclamo”.

 

Tribunale di Firenze, Sezione specializzata per l’immigrazione, la protezione internazionale e la libera circolazione  – ordinanza del 27 maggio 2019

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Residenza: anche a Genova il Tribunale accoglie il ricorso di un richiedente asilo

Dopo Firenze e Bologna, anche il Tribunale di Genova riconosce il diritto dei richiedenti asilo all’iscrizione nel registro della popolazione residente .

L’iscrizione anagrafica è un diritto soggettivo perfetto e, negarlo, implicherebbe una violazione della legge anagrafica del 1954, del successivo DPR n. 223/1989, nonché del principio di non discriminazione degli stranieri regolarmente soggiornanti nell’accesso alla residenza, sancito dall’art. 6 co. 7 del TU immigrazione.

Queste le motivazioni del giudice genovese nell’ ordinanza del 22 maggio 2019, che conferma peraltro l’orientamento già adottato dal Tribunale di Firenze e di Bologna.

Il D.L. sicurezza (convertito nella l. n. 132/2018), come noto, ha introdotto il comma 1 bis all’art. 4 del d.lgs. 142/2015 (“il permesso di soggiorno per richiesta asilo non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”). Tuttavia, specifica il Tribunale, “dal complesso delle norme vigenti in materia, emerge che l’iscrizione anagrafica non avviene in base a titoli ma a dichiarazioni degli interessati (art. 13 l.1128/54), accertamenti d’ufficio (artt. 15, 18 bis e 19) e comunicazioni degli uffici dello stato civile.”

L’ art. 13 lett. C) del d.l. 113 ha abrogato l’istituto della convivenza anagrafica, contenuto nell’art. 5 bis del d.lgs. 142/2015, il quale prevedeva una sorta di automatismo o procedura accelerata di iscrizione per i richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza.  Una volta abrogata tale previsione, si è ritornati alla disciplina previgente.

Inoltre, ricorda il Tribunale, ai fini dell’iscrizione, è sufficiente che l’interessato dimostri la propria dimora abituale e, se straniero, di essere regolarmente soggiornante. Posto che ogni richiedente asilo, dal momento in cui formalizza la domanda attraverso la compilazione del modello C3 diventa automaticamente regolare, tale condizione è in tal modo soddisfatta.

 

ASGI esprime piena soddisfazione per questa ulteriore pronuncia che va a scalfire una parte del decreto sicurezza e riconosce il divieto di discriminazione dei richiedenti asilo per quanto riguarda l’accesso ad importanti diritti soggettivi.

 

Foto di andreagen da Pixabay

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Decreto sicurezza e minori stranieri: rapporto INTERSOS sulla situazione in Sicilia

Pubblicato il Rapporto di INTERSOS che analizza le conseguenze del “Decreto Sicurezza” con un focus particolare sulla Sicilia e il suo sistema di accoglienza.

A causa delle nuove norme giuridiche entrate in vigore dal 1° dicembre 2018 con la Legge 132/2018 i richiedenti asilo e i titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari sono ormai esclusi dalla possibilità di esser inseriti nel sistema di seconda accoglienza ed è venuta meno la prassi secondo cui i titolari di protezione umanitaria potevano essere accolti nei centri di prima accoglienza o di accoglienza emergenziale (CARA e CAS).
In questo contesto particolarmente allarmante appare la condizione dei minori non accompagnati titolari di protezione umanitaria che al compimento dei 18 anni devono lasciare le strutture per minori, senza più avere la possibilità di inserimento in un centro di accoglienza per adulti.
Inoltre, ricorda INTERSOS, in seguito all’abrogazione della protezione umanitaria, sempre ad opera del d.l. 113/18, la maggior parte dei minori non accompagnati richiedenti asilo riceve un rigetto della propria domanda.

“Anche se stanno seguendo positivamente un percorso di inserimento, stanno andando a scuola o svolgendo un tirocinio formativo, questi ragazzi diventano stranieri irregolarmente soggiornanti, condannati all’esclusione sociale, allo sfruttamento nel lavoro nero e al rischio di coinvolgimento in attività illegali” dichiara Elena Rozzi, Migration Advocacy officer di INTERSOS.

Questa nuova “emergenza” è particolarmente rilevante in Sicilia, dove a fine 2018 erano accolti più di 4.700 minori non accompagnati, pari al 42% del totale dei MSNA presenti in Italia. Secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circa 2.000 di questi minori hanno raggiunto la maggiore età all’inizio del 2019.


Il rapporto Intersos Isola dei minori 


Fonte: Intersos

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ASGI: come monitorare e contrastare prassi e condotte illegittime dopo il Decreto sicurezza e immigrazione

Le norme del Decreto Legge 113/2018 (Legge 132/2018) stanno incidendo sulle possibilità di accesso a diversi diritti finora riconosciuti ai cittadini stranieri che sono regolarmente presenti sul territorio italiano a seguito della richiesta di protezione internazionale. ASGI  ha elaborato una guida per supportare cittadini, enti di tutela e le organizzazioni sul territorio.

Il vademecum vuole  fornire informazioni semplici e comprensibili sui diritti dei cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale in Italia in merito, tra l’altro,  all’iscrizione anagrafica, all’accesso ai servizi erogati sul proprio territorio (pubblici o privati), all’iscrizione al Centro per l’impiego o all’apertura di un conto corrente bancario.

Attraverso le indicazioni  sui testi normativi  su cui tali diritti si fondano e  segnalando le modalità  pratiche con cui tali diritti possono essere esercitati , si vuole favorire una  maggiore consapevolezza  e  una capacità per contrastare condotte e prassi illegittime .

Si invitano i cittadini, gli enti e le organizzazioni  a segnalarci  i casi nei quali fosse impedito o ostacolato illegittimamente ai richiedenti la protezione internazionale l’ accesso ai diritti loro riconosciuti dalla normativa, contattando i soci locali o il servizio antidiscriminazione ( antidiscriminazione@asgi.it, 3515542008)


La violazione dei diritti dei richiedenti la protezione internazionale dopo l’entrata in vigore del d.l. 113/2018 – Come monitorare e contrastare prassi e condotte illegittime


 

 

 

 

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Iscrizione anagrafica: lettera delle associazioni ai comuni e all’ANCI

Iscrivere all’anagrafe i richiedenti asilo : è questa la richiesta formulata in una lettera inviata dalla  Campagna LasciateCIEntrare ( di cui ASGI fa parte), Melting Pot Europa, Naga Onlus, Legalteam Italia e Mai più Lager – No ai CPR.

 

La lettera è stata inviata a oltre 90 Comuni di Italia e all’Anci .
L’iniziativa ha come obiettivo quello di chiedere ai sindaci di prendere posizione sulla questione del diritto all’iscrizione all’anagrafe anche a seguito della recente sentenza del tribunale di Firenze del 18 marzo 2019 dove si è affermata l’inesistenza del divieto di iscrizione anagrafica e l’ obbligo al Sindaco di Scandicci, in questo caso, ad iscrivere un richiedente asilo.


La lettera


 

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I problemi della ‘sicurezza’: l’impatto psicologico e psicosociale della legge 132/2018

 Pubblichiamo il comunicato stampa dell’Associazione Italiana di Psicologia che ha sviluppato un’analisi delle implicazioni psicologiche e psicosociali delle recenti disposizioni legislative in tema di immigrazione.

Premessa

L’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) è una società scientifica che raccoglie la maggioranza dei ricercatori e professori di discipline psicologiche operanti nelle università italiane.

L’AIP ha tra i propri compiti l’analisi su base scientifica delle politiche pubbliche, dal punto di vista del ruolo dei fattori psicologici e psicosociali implicati. In ragione del suo ambito di competenza, l’AIP ha sviluppato un’analisi delle implicazioni psicologiche e psicosociali delle recenti disposizioni legislative in tema di immigrazione contenute nella Legge 132/2018 (conversione del cd. Decreto sicurezza). L’analisi si è focalizzata sul rapporto tra contesto psicosociale, finalità del legislatore e modalità di perseguirle previste dal dispositivo legislativo, in particolare dal punto di vista della previsione dell’impatto psicologico e psicosociale di medio termine.

A. Aspetti salienti della Legge

La legge 132/18 ha eliminato la figura giuridica del permesso di soggiorno per motivi di protezione umanitaria (art. 1). Tale permesso aveva la durata di due anni e consentiva l’accesso al lavoro, al servizio sanitario nazionale, all’assistenza sociale e all’edilizia residenziale. Esso riguardava coloro che, pur sprovvisti dei requisiti previsti per l’asilo politico o per la protezione sussidiaria, avrebbero corso, in caso di rimpatrio, il serio rischio di subire trattamenti disumani o degradanti, o di incorrere in limitazioni rilevanti della libertà. La protezione per ragioni umanitarie ha negli anni scorsi rappresentato la motivazione più frequente per la concessione del permesso di soggiorno (circa il 25% delle richieste di asilo, corrispondenti a circa il 70% dei permessi concessi; riferimento anno 2018; fonte Eurostat). Al suo posto sono stati introdotti una serie di permessi per casi specifici: “protezione speciale”, “per calamità naturale nel Paese di origine”, “per condizioni di salute gravi”, “per atti di particolare valore civile” e “per casi speciali” (vittime di violenza grave o sfruttamento lavorativo).

Di fatto, con la cancellazione della protezione per ragioni umanitarie:

a) la platea di coloro che possono beneficiare del permesso di soggiorno si è significativamente ristretta;

b) la maggior parte dei rifugiati che otterrà il permesso di soggiorno secondo la nuova casistica, si troverà in condizione di maggiore precarietà e minori tutele giuridiche e assistenziali;

c) molti degli attuali rifugiati con il permesso di soggiorno per motivi umanitari non avranno i requisiti per il rinnovo, per cui alla sua scadenza si troveranno in una condizione di irregolarità, anche quelli che nel frattempo si erano regolarmente e proficuamente inseriti nel contesto socio-economico italiano.

Nel complesso, secondo stime conservative [1], nel prossimo biennio, a seguito del decreto sicurezza, il numero di irregolari presenti in Italia potrebbe aumentare notevolmente: 60.000-70.000 persone rischiano di trovarsi prive della possibilità di lavorare e di fruire di qualsiasi forma di tutela giuridica e assistenza socio-sanitaria, destinate dunque ad una condizione di grave marginalità, ulteriormente favorita dal depotenziamento – anch’esso introdotto con il decreto (art. 12) – del sistema SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati – le strutture di accoglienza che in questi anni hanno operato come fondamentale risorsa per l’integrazione dei migranti).

B. L’impatto psicologico e psicosociale della Legge

Sulla base di una estesa letteratura [ad es. 2-5], è oltremodo plausibile attendersi che la condizione di marginalità (e.g. precarietà, inoccupazione, povertà, impossibilità di fruire di forme di previdenza e assistenza) cui sono destinati molti degli attuali e futuri richiedenti asilo avrà un impatto altamente dannoso sulla loro salute psico-fisica, in termini di maggiore incidenza di malattie, disagio psicologico, disturbi mentali, condotte autolesive e suicidarie.

Vi sono del resto solide basi scientifiche per prevedere che la Legge 132/2018 avrà rilevanti effetti negativi diretti e indiretti anche sulla società italiana, in ciò contravvenendo paradossalmente alle finalità per cui è stato pensato.

Effetti diretti

Dal momento che la condizione di marginalità tende ad alimentare comportamenti antisociali e devianti in coloro che lo subiscono [ad es. 6, 7], è probabile che l’incremento di immigrati in condizione di irregolarità possa portare ad un aumento, piuttosto che ad una riduzione, dell’incidenza di fenomeni di micro-criminalità, degrado urbano, segregazione territoriale, con ovvie conseguenze negative sulla qualità della vita della popolazione italiana generale. Quando accompagnate da inuguaglianza economica, le differenze etniche diventano ulteriore fonte di sfiducia e minaccia per la società. Al contrario, quando l’istituzione mette in atto politiche utili a gestire la diversità etnica e al tempo stesso per ridurre le inuguaglianze economiche generali, non solo l’immigrazione non è più una minaccia da temere ma diventa risorsa per la società. Studi [ad es. 8] hanno evidenziato il ruolo centrale delle istituzioni e delle politiche statali nel modificare e rendere proficui gli effetti dei flussi migratori.

Effetti indiretti 

L’effetto negativo più preoccupante è tuttavia indiretto e riguarda la dinamica psicosociale di cui la Legge 132/2018 è al contempo riflesso e vettore.

In via di premessa va riconosciuto che la legge 132/18 rappresenta il tentativo del Legislatore di dare risposta al senso di radicale incertezza sociale ed economica diffusi entro la società italiana, in conseguenza dell’impatto dirompente delle dinamiche della globalizzazione [9-10].

La reazione oggi prevalente all’incertezza è di natura difensiva ed emozionale [11], caratterizzandosi in termini identitari e di “nemicalizzazione” dell’altro, in particolare del non-italiano, che viene connotato come minaccia dalla quale proteggersi. Secondo un recente studio [12, 13], circa il 60% della popolazione adulta italiana, è profondamente sfiduciata, percependosi alle prese con un contesto sociale ed economico inaffidabile e persecutorio; al contempo tale maggioranza di Italiani ha una visione negativa dell’immigrato e più in generale dell’estraneo o del “diverso”, vedendo nell’appartenenza identitaria l’unica possibile difesa dalla minaccia, che percepisce venire dall’esterno.

Nel loro complesso, le disposizioni relative al tema dell’immigrazione contenute nella Legge 132/18 – oltre alle misure sopra richiamate, la Legge prevede: il raddoppio dei tempi di trattenimento nei centri di prima accoglienza; la revoca della cittadinanza in alcuni casi gravi – si prestano obiettivamente ad essere lette come portatrici di una visione dell’immigrazione come problema di sicurezza (è questo del resto il nome con cui è conosciuto il decreto successivamente convertito dalla Legge 132/2018): come una minaccia da cui difendersi (per una discussione del punto comprensiva del panorama europeo, cfr. [14]). In tal modo la Legge 132/18 si sintonizza sul senso di incertezza diffuso. Tuttavia, essa risponde ai timori dei cittadini non tanto ribadendo la giusta e doverosa rigorosità nelle procedure di accoglienza ma in un modo che corre il rischio di assecondare ed alimentare, piuttosto che elaborare, la reazione difensiva, viscerale ed emozionale che caratterizza attualmente una parte consistente della società italiana.

Il rischio, in altri termini è di rinforzare la visione emozionale dell’immigrato come minaccia dalla quale difendere se stessi, la comunità, l’Italia (tale visione trova parzialmente riflesso anche sui media; si veda in proposito [15]) È opportuno precisare che quanto appena affermato non significa negare l’impatto potenzialmente critico dell’immigrazione – specie sui segmenti più svantaggiati della popolazione italiana – dunque il fondamento di realtà che sta alla base della percezione sociale degli immigrati come un problema (per una discussione di questo aspetto dal punto di vista economico, ad es. cfr. [16]). Da un punto di vista psico-sociale, ciò che è in discussione non sono le obiettive criticità che l’immigrazione può comportare da un punto di vista macro e micro economico, ma la natura emozionale della risposta sociale (cioè la trasformazione del fattore di criticità in un nemico) e le sue implicazioni sul ‘capitale sociale’, inteso come atteggiamento sociale di fiducia, congiunto a norme che regolano la convivenza e le reti di impegno civico [17]. Intaccando in modo sostanziale il ‘capitale sociale’ (già in crisi per motivi diversi, ad esempio economici), la “nemicalizzazione” dell’immigrato è un processo che nel medio periodo è destinato a danneggiare la stessa società che lo esercita. Ciò si comprende tenendo conto del fatto che tale processo consiste in una visione viscerale ed emozionale, fondata sullo schema affettivo amico/nemico. Data la sua natura profondamente affettiva, lo schema amico/nemico non resta circoscritto all’oggetto specifico che lo innesca, ma tende inevitabilmente a generalizzarsi trasversalmente ai diversi domini della vita sociale [18-19; per quanto riguarda la mancanza di vincolo tra specifico elemento di innesco e modo generale di interpretare, si veda anche 20]. Ciò significa che, una volta che lo schema affettivo secondo cui si interpreta emozionalmente l’incertezza come causata da un altro/nemico si è insediato nel contesto culturale, esso non si limita ad operare nei confronti di specifiche categorie di ‘altro’, ma tende ad espandere la propria rilevanza su qualsiasi forma di diversità significativa: nazionalità, genere, orientamenti sessuali, appartenenza territoriale, credo religioso, opinione, status professionale, ecc. In questo modo, la ‘nemicalizzazione’ dell’altro e la conseguente polarizzazione delle relazioni diventano elementi endemici del modo di interpretare e agire le relazioni sociali ed interpersonali, non solo con lo “straniero” ma anche all’interno dei gruppi sociali di riferimento (gli italiani, ma anche il territorio, la propria organizzazione di lavoro, eccetera). La crescita di episodi di violenza verbale e fisica (ad es. sulla rete, nei confronti del personale sanitario e delle istituzioni educative) si presta ad essere interpretata come un segnale del processo di generalizzazione cui ci si sta riferendo. Il suo impatto si può misurare in termini di grave decadimento del capitale sociale (fiducia, civismo, reti sociali), di deterioramento delle infrastrutture civiche e istituzionali, di anomia; in definitiva, in uno scadimento complessivo tanto del sistema complessivo quanto della qualità della vita a livello individuale [1]. Non da ultimo occorre ricordare che questa visione di pericolo costantemente associata al fenomeno della migrazione aumenta nelle persone il senso di minaccia sociale. Molti studi hanno evidenziato che l’aumentare del senso di minaccia è significativamente associato non solo a comportamenti di tipo estremo, ma anche agli orientamenti autoritari, soprattutto nelle persone sensibili a questi aspetti. Vale a dire che la manipolazione del senso di minaccia che deriva dal presentare lo straniero come un nemico è l’anticamera di atteggiamenti che minano alla radice l’agire democratico [ad es. 23-24].

Osservazioni conclusive

Sul ruolo del capitale sociale nel funzionamento dei meccanismi economici e istituzionali si veda, ad es. [21]; sulla dipendenza tra contesto psico-sociale e comportamento economico si veda [22]; sul rapporto tra contesto culturale e percezione di sé: [13].

La ricerca psicologica ha prodotto evidenze in favore del carattere non alternativo ma complementare di identità e diversità [ad es. 25-27]. L’identità di un popolo si fonda sulla molteplicità che solo l’integrazione delle differenze – interne ed esterne – può assicurare: come del resto esperienze pluriennali di paesi come Gran Bretagna e Germania hanno mostrato. Su tale base, è realistico – proprio sulla base delle evidenze delle scienze psicologiche e sociali – suggerire un’inversione radicale nell’approccio culturale, prima ancora che legislativo, al tema immigrazione. È strategico che le politiche in tale ambito passino da una logica “nemicalizzante” ad una orientata invece da scopi di integrazione e valorizzazione della relazione con l’alterità. Ciò non solo, lo ripetiamo, per ragioni di natura etica o di generica disponibilità ad una indiscriminata “accoglienza”; ma soprattutto perché così facendo si introdurrebbe un rilevante fattore di contrasto alla diffusione entro la società italiana della nemicalizzazione dell’altro, un “virus culturale” capace di produrre danni gravi al tessuto umano, civile, socio-economico e istituzionale del nostro Paese.


Note bibliografiche

1. Villa, M. (2018). I nuovi irregolari in Italia. ISPI. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/i-nuovi- irregolari-italia-21812
2. Uutela, A. (2010) Economic crisis and mental health. Current Opinions Psychiatry, 23, 127–130
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4. Wilkinson R. & Pickett K. (2009), The Spirit Level: Why More Equal Societies Almost Always Do Better. London, Allen Lane
5. Kieselbach,T., Winefied. A.H., Boyd, C., & Anderson S. (Eds.) (2006). Unemployment and health: International and interdisciplinary perspectives. Bowen Hills: Australian Academic Press
6. Lochner, L. (1999). Education, Work and Crime: Theory and Evidence. Research Center for Economic Research, University of Rochester, Working Paper n. 465.
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8. Kesler, C., & Bloemraad, I. (2010). Does immigration erode social capital? The conditional effects of immigration-generated diversity on trust, membership, and participation across 19 countries, 1981–2000. Canadian Journal of Political Science/Revue canadienne de science politique, 43(2), 319-347.
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13(1): e0189885. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0189885 13. Salvatore, S. Avdi, E. et al (2019). Distribution and Characteristics of Symbolic Universes over the European. In Salvatore, S., Mannarini T, Valsiner, J, Veltri, G. (Eds). Symbolic Universes in Time of (Post)Crisis – The Future of European Societies. Berlin: Springer
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Indicazioni per il rilascio del permesso per cure mediche previsto dal D.L. 113/2018

Con la circolare del 15 marzo 2019, n. 43323, il Ministero dell’Interno ha diffuso alcune precisazioni sul nuovo permesso di soggiorno per “cure mediche”, previsto dal D.L. 113/18 in favore degli stranieri che versano in condizioni di salute di particolare gravità.

Il documento deve riportare la dicitura “art. 19, co. 2, lett. d) bis T.U. Immigrazione”, affinché risulti riconoscibile rispetto agli altri permessi rilasciati per salute e possa consentire l’effettiva iscrizione del cittadino straniero al Servizio Sanitario Nazionale.


Ministero dell’Interno, circolare del 15 marzo 2019, n. 43323


 

 

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L’iscrizione anagrafica e i richiedenti asilo dopo il dl 113/2018

L’obbligo dei comuni di procedere alla iscrizione anagrafica del richiedente asilo non è venuto meno con l’entrata in vigore del decreto sicurezza. Un commento all’interpretazione costituzionalmente orientata nel provvedimento del Tribunale di Firenze

di Gabriele Serra
giudice, Tribunale civile di Cagliari


Tribunale di Firenze, ordinanza del 18 marzo 2019, n. 361


1. Premessa. Il nuovo comma 1-bis dell’art. 4 d.lgs n. 142/2015

L’ordinanza ex art. 700 cpc del Tribunale di Firenze del 18 marzo 2019 prende posizione in ordine ad una delle tante problematiche scaturite dal cd. decreto sicurezza dl. n. 113/2018, convertito con modificazioni nella legge n. 132/2018 e, segnatamente, in ordine al diritto del richiedente il riconoscimento della protezione internazionale ad ottenere l’iscrizione nel registro anagrafico della popolazione residente.

Senza potersi dilungare in ordine all’istituto in esame, i.e. quello dell’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, è sufficiente ricordare che l’art. 1 del all’art.1 del dPR 30 maggio 1989, n. 223 lo definisce come «la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio».

Ora, l’art. 13 del dl n. 113/2018 ha aggiunto, all’art. 4 del d.lgs n. 142/2015, il comma 1-bis secondo cui il permesso di soggiorno per richiesta di asilo «»non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

In applicazione di tale disposizione, venendo al caso concreto sottoposto all’attenzione del giudice fiorentino, il comune di Scandicci aveva opposto il diniego all’iscrizione nei registri anagrafici ad un soggetto di nazionalità somala, il quale era regolarmente soggiornante in Italia, avendo richiesto il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale e/o umanitaria, argomentando altresì, in sede processuale, in relazione al contenuto di due recenti circolari del Ministero dell’interno n. 15 del 18 ottobre 2018 e n. 83744 del 18 dicembre 2018 [1].

È avverso tale diniego che il richiedente asilo ha richiesto l’adozione di un provvedimento giurisdizionale d’urgenza perché venisse ordinato al comune l’iscrizione all’anagrafe, ritenendo in particolare che il requisito del regolare soggiorno nel territorio dello Stato potesse essere accertato mediante documenti alternativi al permesso di soggiorno rilasciato ai soggetti che hanno presentato domanda di riconoscimento della protezione internazionale, quali, ad esempio, il modello C3 di richiesta asilo presentato in questura, la ricevuta rilasciata da quest’ultima per attestare il deposito della richiesta di soggiorno o la scheda di identificazione redatta dalla questura.

Così inquadrata la problematica, è di interesse sottolineare sin da subito come il comune resistente abbia rappresentato la necessità che nel procedimento venisse sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale in relazione all’art.13 del cd. decreto sicurezza, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 16, 77, 97, 117 e 118 Cost.

Il Tribunale di Firenze ha, in senso contrario, ritenuto di poter accogliere il ricorso senza dover sollevare la segnalata questione di legittimità costituzionale, esprimendosi, come si vedrà, nel senso della possibilità di offrire una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in parola.

 

2. L’ordinanza del Tribunale di Firenze in causa RG N. 361/2019 del 18 marzo 2019

In tal senso, per quanto qui rileva, l’articolato provvedimento del giudice toscano muove dal superamento di quanto emerge dalla relazione introduttiva al disegno di legge di conversione del predetto dl per cui «l’esclusione dall’iscrizione anagrafica si giustifica per la precarietà del permesso per richiesta asilo e risponde alla necessità di definire preventivamente la condizione giuridica del richiedente».

In tal senso, il Tribunale ha fatto proprie le considerazioni dottrinali e giurisprudenziali per cui, ai sensi dell’art. 12 delle Preleggi, il riferimento ivi contenuto all’«intenzione del legislatore» tra i criteri ermeneutici, non possa essere ricostruito come «“volontà politica” di cui la norma è, storicamente, un prodotto», bensì come «testo legislativo inserito nell’insieme dell’ordinamento giuridico» [2].

Ritenuto perciò irrilevante l’argomento interpretativo dei lavori preparatori, il Tribunale, analizzando il contenuto letterale del nuovo comma 1-bis citato, sottolinea come esso si riferisca al permesso di soggiorno per richiedenti protezione internazionale quale titolo per l’iscrizione anagrafica e che, tuttavia, il sistema normativo di riferimento dalla stessa disposizione richiamato (i.e. il dPR n. 223 del 1989 e l’art. 6, comma 7 del T.U.I.), non richieda alcun “titolo” per l’iscrizione anagrafica, ma solo una determinata condizione soggettiva, i.e. quella di essere regolarmente soggiornante nello Stato.

Di tal che, riconoscendo che l’iscrizione anagrafica ha natura di attività amministrativa a carattere vincolato, in relazione alla quale il privato ha una posizione di diritto soggettivo, evidenzia come «l’iscrizione anagrafica registra la volontà delle persone che, avendo una dimora, hanno fissato in un determinato comune la residenza oppure, non avendo una dimora, hanno stabilito nello stesso comune il proprio domicilio», sulla base non di titoli, ma delle dichiarazioni egli interessati o degli accertamenti ai sensi degli artt. 13, 15, 18-bis e 19 del citato dPR n. 223/1989.

Nello stesso senso argomenta con riferimento all’art. 6, 7 comma del T.U.I., che non è stato in alcuna misura modificato dal dl 113, sulla base del quale «le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione. In ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza».

Così, la pronuncia in esame ha ritenuto perciò che il nuovo comma 1-bis dell’art. 4 d.lgs n. 142/2015 non possa essere interpretato nel senso di aver introdotto un divieto, neppure implicito, di iscrizione anagrafica per i soggetti che abbiano presentato richiesta di protezione internazionale, poiché, per far ciò, il legislatore avrebbe dovuto modificare il citato art. 6, comma 7 T.U.I., anche nella parte in cui considera dimora abituale di uno straniero il centro di accoglienza ove sia ospitato da più di tre mesi [3].

In adesione alla ricostruzione fatta della natura dell’attività amministrativa e della situazione giuridica soggettiva del richiedente, il Tribunale, chiarisce ulteriormente come il concetto di “titolo” rilevante ai fini del riconoscimento della situazione giuridica soggettiva è «il fatto o l’atto giuridico dal quale deriva l’acquisto della stessa da parte del soggetto giuridico», non già il documento che comprova tale atto o fatto.

Di tal che, posto che ai sensi dell’art. 7 del d.lgs n. 25/2008 il richiedente asilo è regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, deve ritenersi che la presentazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale determini la sussistenza del “titolo” per l’iscrizione anagrafica in capo al richiedente, il quale, può, allora, essere comprovato con gli atti inerenti l’avvio del procedimento di riconoscimento della protezione.

In ultimo, il Tribunale si fa carico altresì dell’obiezione che si fonderebbe sulla sostanziale interpretatio abrogans del nuovo comma 1-bis in esame, che rimarrebbe privo di significato.

Il senso della disposizione viene ricavato dal combinato disposto di essa con l’art. 13 lett. c) del dl 113, che ha abrogato la previsione dell’utilizzo per i richiedenti asilo dell’istituto della convivenza anagrafica contenuta nell’art. 5-bis dello stesso d.lgs 142/2015, introdotto dalla legge 13 aprile 2017, n. 46 che ha convertito il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13.

In forza di tale disciplina invero, il richiedente asilo ospitato nei centri di accoglienza era iscritto all’anagrafe sulla base della sola comunicazione del responsabile della convivenza, che determinava perciò una procedura semplificata e accelerata per il titolare di permesso di soggiorno richiedente la protezione.

Tale procedura perciò prescindeva tanto dal requisito della permanenza dei tre mesi nel centro, quanto da quello della dichiarazione dell’interessato o degli accertamenti dell’amministrazione.

Conclude perciò il Tribunale che l’art. 13 del cd. decreto sicurezza «sancisce l’abrogazione, non della possibilità di iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un permesso per richiesta asilo, ma solo della procedura semplificata prevista nel 2017 che introduceva l’istituto della convivenza anagrafica, svincolando l’iscrizione dai controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente residenti e per i cittadini italiani».

In una sorta di moto circolare, si può infine tornare al punto di partenza dell’analisi condotta sulla assai articolata decisione, i.e. quello della compatibilità costituzionale e della sollevata questione da sottoporre alla Corte da parte del comune resistente.

Il Tribunale evidenzia come l’interpretazione proposta consenta di leggere la disposizione in armonia con le norme di rango costituzionale che regolano la presente fattispecie e, segnatamente, con riferimento all’art. 16 Cost., agli artt. 2, 3 4 e 38 Cost., alla luce in particolare dei diritti che sono connessi all’iscrizione nel registro della popolazione residente, nonché del principio di uguaglianza tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti, anche ai sensi dell’art. 14 Cedu, rilevante quale norma interposta ai sensi dell’art. 117 Cost.

Ricorda infatti il Tribunale come «interpretare nel segno della Costituzione non è compito esclusivo della Corte Costituzionale ma obbligo che s’impone a diversi livelli, ed in particolare nei confronti del giudice (oltre che dell’amministrazione e, prima ancora, del legislatore, nella sua opera di svolgimento e attuazione della Costituzione), con l’unico limite rappresentato dal divieto di disapplicazione».

 

3. Osservazioni sparse in tema di criteri interpretativi della legge e diritto d’asilo

Il provvedimento esaminato offre numerosi spunti di interesse, tanto a livello generale, quanto di carattere strettamente inerente la problematica trattata.

Seguendo la tassonomia sopra esaminata, il Tribunale ha correttamente, ad avviso di chi scrive, fatto applicazione dei consolidati approdi in ordine alla rilevanza del criterio interpretativo dell’intentio del legislatore.

Sul punto, la più autorevole dottrina, ha da tempo fatto rilevare come l’interprete, anche laddove sia realmente possibile ricostruire l’intenzione del legislatore, non può e non deve ritenersi vincolato ad attenersi ad essa, bensì «i risultati di questo genere di attività interpretativa devono essere contemperati con quelli dell’interpretazione sistematica tendente a dare coerenza all’ordinamento giuridico considerato nel suo complesso» [4], nonché in relazione alle norme ed ai principi costituzionali [5].

Ma, a ben vedere, nel caso che occupa, potrebbe addirittura considerarsi sufficiente a considerare irrilevante quanto riportato nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del dl 113 anche la più restrittiva e risalente tesi proposta da Vezio Crisafulli, il quale, nel ritenere che «la motivazione degli atti legislativi ha precisamente per effetto di rivelare autenticamente, e perciò inoppugnabilmente, la vera intenzione del legislatore ed in conseguenza di rendere molto più rigido di quel che di regola non sia negli altri casi l’obbligo dell’interprete, conferendo all’opera di esso un particolare carattere che bene potrebbe dirsi, in un certo senso, quasi meccanico» [6], tuttavia si riferiva, come lui stesso evidenziava, alla motivazione in senso proprio della legge, chiarendo che i lavori preparatori delle leggi, e in particolare quelle che Crisafulli chiama le «relazioni ministeriali», possono costituire unicamente «motivazione in senso improprio e non tecnico», in quanto non provengono dallo stesso soggetto dal quale proviene l’atto motivato, quest’ultimo essendo imputabile alle camere, mentre le relazioni sono opera del ministro proponente [7].

Ora, con riferimento al caso in esame, una parte della dottrina sembra aver ritenuto, ancorché in chiave aspramente critica, di non poter superare una chiara ratio legis volta alla esclusione della possibilità per i richiedenti asilo di ottenere l’iscrizione anagrafica [8].

Tuttavia, ed è la direzione prescelta anche dal Tribunale di Firenze, altra dottrina aveva già adombrato, nel rilevare l’assenza di un esplicito divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo nella norma in parola, la necessità di prescindere dalle intenzioni del legislatore “storico” nell’attività di interpretazione della predetta disposizione [9], il che è stato ancor più chiaramente sostenuto da chi ha richiamato, al fine di negare rilevanza alla volontà ministeriale e alle circolari, l’art. 101, comma 2 Cost. [10].

Dal condivisibile superamento del criterio della ratio legis (rectius: della supposta volontà politica del ministro proponente), irrilevante sul piano della interpretazione della norma, appare nuovamente del tutto condivisibile l’interpretazione letterale e, soprattutto, sistematica, condotta dal Tribunale di Firenze, in linea, anche sotto questo profilo, con quanto prospettato dalla prima dottrina sul punto.

In tal senso infatti, coglie nel segno l’opzione prospettata di una lettura della nuova disposizione che sia coerente con l’intero apparato normativo nella quale è inserita e, in particolare, la lettura in combinato disposto tanto con le norme di settore (il dPR n. 223 del 1989 e l’art. 6, comma 7 del T.U.I.), quanto con quelle di carattere generale (l’art. 43 cc), valorizzando il criterio interpretativo sistematico, che già la più attenta dottrina, nel rilevare come tale criterio sia tra i più utilizzati, ha evidenziato come sia idoneo «a preservare sia la coerenza logica, sia la congruenza (l’armonia) assiologica dell’ordinamento» [11].

In aggiunta, si può evidenziare come la decisione citata appaia altresì coerente, pur non facendone esplicita menzione, con la ricostruzione della situazione giuridica soggettiva dei soggetti che abbiano inoltrato richiesta di protezione internazionale e/o umanitaria fatta propria dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 4890/2019, la quale, come noto, ha escluso che il dl 113/2018 possa applicarsi ai procedimenti amministrativi già iniziati davanti alle Commissioni territoriali o ai giudizi in corso avverso i provvedimenti di accertamento o diniego del diritto.

Nel far ciò invero, la Corte aveva valorizzato «la qualificazione giuridica di diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale» del diritto d’asilo e la conseguente «natura meramente ricognitiva dell’accertamento da svolgere in sede di verifica delle condizioni previste dalla legge» concludendo perciò che «il diritto soggettivo, nella specie, è preesistente alla verifica delle condizioni cui la legge lo sottopone» [12].

Di tal che, è in piena coerenza logico-giuridica, con tale ricostruzione, ancorché non esplicitata, che il Tribunale di Firenze ha evidenziato come siano le situazioni giuridiche soggettive facenti capo ai soggetti a determinare le conseguenze giuridiche che la legge riconnette loro e non già il possesso o meno dell’uno o dell’altro documento. In tal senso, anche l’attività amministrativa volta ad iscrivere una persona nelle liste anagrafiche è perciò da qualificarsi come attività meramente ricognitiva, per usare le parole della Cassazione, dovendo unicamente la P.A. verificare che il soggetto possegga i requisiti richiesti dalla legge.

Con tale decisione, si arricchisce perciò il panorama giurisprudenziale che definisce le questioni inerenti i rapporti tra la normativa amministrativa, che potremmo definire “di attuazione”, e il diritto d’asilo sulla base della natura giuridica del diritto facente capo a chi richiede il riconoscimento del diritto d’asilo nelle sue diverse forme previste dalla legge, muovendo dalla sua natura di diritto fondamentale e costituzionalmente garantito, di fronte al quale la pubblica amministrazione non è titolare di potere discrezionale, bensì, secondo lo schema tradizionale norma-fatto, deve limitarsi a verificare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto e delle conseguenze previste dalla legge [13].

Oltre alla già citata decisione della Corte di cassazione, ci si riferisce in particolare all’orientamento della giurisprudenza di merito che ha ritenuto illegittimo il diniego del questore di rilascio del permesso di soggiorno per mancata esibizione del passaporto in seguito al riconoscimento del diritto d’asilo, poiché, una volta accertato il diritto in sede amministrativa o giurisdizionale, in capo al questore non residua alcun margine di apprezzamento circa la posizione giuridica soggettiva del richiedente [14].

Ad avviso di chi scrive perciò, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza di merito e di legittimità, stanno contribuendo a fornire un criterio guida atto a far luce sui, numerosi, profili oscuri che possono sorgere in ordine all’applicazione della legislazione in tema di protezione internazionale, rispetto ai quali non si può prescindere dal riconoscimento della natura di diritto fondamentale all’asilo in capo a chi si venga a trovare in una delle situazioni rilevanti ai sensi dell’art. 10, 3 comma Cost. e, rispetto alle quali, l’attività amministrativa prima e giurisdizionale poi, si pongono in termini di mero accertamento di essa.

 

4. Conclusioni in tema di interpretazione costituzionalmente orientata

Quanto alla compatibilità costituzionale dell’art. 13 del dl n. 113/2018, una parte della dottrina che si era interrogata sul tema, aveva evidenziato una soluzione alternativa, in particolare con riferimento ai diritti e alle prestazioni a cui è riconosciuto l’accesso ai soggetti iscritti all’anagrafe dei residenti:

1) ritenere che ogni norma che contempli il requisito della «residenza anagrafica» vada letta, nei riguardi del richiedente asilo, nel senso di «domicilio», valorizzando il disposto dell’art. 5, 3 comma del d.lgs n. 142/2015 a mente del quale «l’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio»;

2) ritenere incostituzionale l’esclusione del richiedente asilo dalla residenza anagrafica, perché lo priverebbe di diritti che la legge, anche a livello europeo, riconosce ai soggetti regolarmente soggiornanti, dimostrando peraltro di preferire la prima ipotesi perché idonea a valorizzare il contenuto del citato art. 5, 3 comma d.lgs n. 142/2015 in chiave costituzionalmente orientata [15].

La soluzione alternativa offerta dalla citata dottrina, come peraltro anticipato sopra, è necessitata dal postulato per cui non sarebbe stato possibile interpretare la novella nel senso di consentire comunque l’iscrizione anagrafica al richiedente asilo, poiché espressamente escluso dalla legge, derivandone perciò la necessità di offrire soluzioni diverse al problema dell’accesso ai diritti connessi all’iscrizione nel registro anagrafico dei residenti.

Altra dottrina, in senso solo parzialmente conforme, pur ritenendo possibile offrire una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 13 cit., nel senso di considerare comunque possibile l’iscrizione del richiedente asilo all’anagrafe, per le motivazioni già sopra illustrate, aveva comunque valorizzato, in via potremmo dire subordinata, anch’essa il disposto dell’art. 5, 3 comma d.lgs n. 142/2015, argomentando che, laddove si fosse ritenuta la norma ostativa all’iscrizione all’anagrafe del richiedente asilo, nondimeno allo stesso sarebbero dovuti essere garantiti tutti i diritti connessi a tale situazione, per effetto della formulazione appunto dell’art. 5, 3 comma cit. [16].

Come detto, il Tribunale di Firenze ha ritenuto di poter fornire una interpretazione della disciplina novellata che non esclude il diritto del richiedente asilo ad essere iscritto nel registro dell’anagrafe, ritenendo in particolare che, in caso contrario, la disciplina si sarebbe posta in contrasto con l’art. 16 Cost. e, con riferimento ai profili esposti dalla citata dottrina, con gli artt. 2, 3, 4 e 38 Cost.

In tal senso, come peraltro già paventato dal sopra citato lavoro scientifico [17], il giudice fiorentino ha ritenuto la formulazione dell’art. 5, comma 3 cit. eccessivamente generica ed indeterminata, come tale inidonea a superare le disposizioni che prescrivono il requisito della residenza anagrafica per l’accesso ai benefici previsti.

L’interpretazione dell’art. 13 allora, ottenuta mediante l’applicazione (o l’esclusione) dei criteri ermeneutici sopra richiamati, si impone ancor di più alla luce del dovere di interpretazione della legge in senso costituzionalmente orientato.

Sul punto, sin dalla capostipite sentenza della Corte costituzionale, 22 ottobre 1996, n. 356, è consolidato il principio per cui «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice decida di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali» [18].

D’altronde, anche la più recente dottrina ha ben ricordato che «interpretare, nel segno della Costituzione, non è, infatti, compito esclusivo della Corte costituzionale, ma obbligo che s’impone a diversi livelli, specialmente nei confronti del giudice (ma anche dell’amministrazione e, prima ancora, del legislatore nella sua opera di svolgimento e attuazione della Costituzione)» [19].

Nondimeno, si deve ritenere pienamente condivisibile il richiamo fatto dal Tribunale di Firenze ad un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale cui sarebbe esposta la norma se non si procedesse nel senso interpretativo proposto, i.e. la violazione dell’art. 14 Cedu, il quale si pone come norma di costituzionalità interposta ai sensi dell’art. 117 Cost.

Tale norme vieta qualsiasi discriminazione, anche quella inerente l’origine nazionale, nell’accesso ai diritti e che, nell’interpretazione datane dalla Corte Edu, pur nel sottolinearne il carattere relazionale e non autonomo del principio, va interpretata nel senso di ritenere necessarie «considerazioni molto forti potranno indurre a far ritenere compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento fondata esclusivamente sulla nazionalità» [20].

Un ulteriore elemento può infine essere evidenziato, non utilizzato dall’ordinanza del Tribunale di Firenze, in ordine ai diversi referenti normativi che possono venire in rilievo nel caso di specie e che, certamente, pone questioni di rapporto tra le fonti attualmente assai dibattute.

Ci si intende riferire al disposto dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, cd. Carta di Nizza, che, specularmente all’art 14 Cedu, prevede che «è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. Nell’ambito d’applicazione del Trattato che istituisce la Comunità europea e del Trattato sull’Unione europea è vietata qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari contenute nei trattati stessi».

Non vi è modo di dilungarsi sulla problematica scaturita da alcune recenti pronunce della Corte costituzionale in ordine al rapporto tra l’incidente di costituzionalità e il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia o disapplicazione della legge interna laddove emerga il possibile contrasto tra la norma legislativa e, da un lato, norme costituzionali, dall’altro, norme di cui alla Carta di Nizza [21].

Sul punto, tuttavia, non può non farsi menzione della suggestione per cui potrebbe farsi diretta applicazione dell’art. 21 Carta di Nizza in subiecta materia, avendo oggi le disposizioni della CDFUE, ai sensi dell’art. 6, par. 1 del TUE, lo stesso valore giuridico dei Trattati e rispetto alla quale in dottrina si è già valorizzata la «sua connessa idoneità a produrre effetto diretto nell’ordinamento degli stati membri, anche a costo di determinare la disapplicazione di eventuali norme di diritto interno contrastante, senza che il giudice nazionale debba, né possa, attendere la rimozione di queste ultime da parte della propria Corte costituzionale» [22].

In questa direzione, la Corte di giustizia ha anche recentemente avuto modo di affermare come l’art. 21 della Carta − ed il principio di non discriminazione − da esso portato abbia carattere imperativo in quanto principio generale dell’Unione e, perciò, il giudice nazionale è tenuto a garantire ai singoli la tutela giuridica promanante da tale disposizione, anche disapplicando all’occorrenza la normativa nazionale contraria [23].

Tali considerazioni, ancorché con riferimento all’art. 50 CDFUE, sono peraltro state fatte proprie in giurisprudenza dalla Corte di cassazione penale, che ha esplicitamente statuito che «il suo inserimento nella Carta di Nizza, tra i diritti fondamentali dell’Unione europea, può assicurargli valore di principio generale nell’ambito del diritto europeo dell’Unione, ponendosi per i giudici nazionali come norma vincolante e funzionale alla realizzazione di uno spazio giudiziario europeo in cui venga ridotto il rischio di conflitti di competenza» [24].

E allora, in conclusione, forse proprio nella materia della protezione internazionale e del diritto d’asilo, potrebbe ben esplicarsi il ruolo del giudice comune quale giudice europeo, chiamato, anche alla luce dei valori su cui si fonda l’Unione ex art. 2 TUE, «al riconoscimento di diritti universali, come tali rivendicabili (anche) nei confronti degli Stati da chi non sia cittadino europeo» [25].

 

Note

[1] Per quanto qui interessa, la Circolare del Ministero dell’interno n. 15/2018, afferma che «dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale di cui all’art. 4, comma 1 del citato d.lgs n. 142/2015, non potrà consentire l’iscrizione anagrafica», nonché la Circolare del Ministero dell’interno n. 83744/2018, nella parte in cui prevede che «ai richiedenti asilo – che peraltro non saranno più iscritti nell’anagrafe dei residenti (art. 13) – vengono dedicate le strutture di prima accoglienza (CARA E CAS)».

[2]  Sul punto l’ordinanza richiama il consolidato orientamento della Corte di cassazione per cui «ai lavori preparatori può riconoscersi valore unicamente sussidiario nell’interpretazione di una legge, trovando un limite nel fatto che la volontà da essi emergente non può sovrapporsi alla volontà obiettiva della legge quale risulta dal dato letterale e dalla intenzione del legislatore intesa come volontà oggettiva della norma (voluntas legis), da tenersi distinta dalla volontà dei singoli partecipanti al processo formativo di essa» (vds. Cass. n. 3550/1988, nonché Cass. n. 2454/1983 e Cass. n. 3276/1979).
[3] Ciò poiché, evidenzia il Tribunale, posto l’art. 43, comma 2 cc, per cui «la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale», e l’art. 3, comma 1 dPR n. 223/1989, a mente del quale «per persone residenti nel comune s’intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune», «ne consegue che, se dopo tre mesi un centro di accoglienza deve essere considerato, per legge, dimora abituale, dopo lo stesso lasso di tempo il richiedente asilo accolto nel centro ha diritto all’iscrizione anagrafica in quanto persona residente».
[4] Così A. Pizzorusso, Le fonti a produzione nazionale, in A. Pizzorusso e S. Ferreri, Le fonti del diritto italiano. 1. Le fonti scritte, Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1998, pp. 118 ss.
[5] Cfr. G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale. I. Il sistema delle fonti del diritto, Torino, 1990, pp. 72 ss.
[6] V. Crisafulli, Sulla motivazione degli atti legislativi, in Riv. dir. pubbl., 1937, I, pp. 436 ss.
[7] Per tale sintesi del pensiero crisafulliano vds. N. Lupo, Alla ricerca della motivazione delle leggi: le relazioni ai progetti di legge in parlamento, in Osservatorio sulle fonti 2000, a cura di U. De Siervo, Torino, 2001, pp. 67 ss.
[8] Cfr. P. Morozzo della Rocca, Vecchi e nuovi problemi riguardanti la residenza anagrafica nel diritto dell’immigrazione e dell’asilo . L’autore afferma chiaramente che «la scelta del legislatore – pur discutibile – è tuttavia chiara, sebbene tecnicamente abborracciata e priva dell’affermazione letterale secondo cui i richiedenti asilo non possono iscriversi all’anagrafe. D’altra parte non v’è dubbio che presso i consiglieri del Principe il possesso del permesso di soggiorno e la condizione giuridica di regolarità del soggiorno sono considerati interamente equivalenti, sicché per il legislatore storico il nuovo art. 4 d.lgs 142/2015 costituisce un’eccezione esplicita all’art. 6, comma 7, d.lgs 286/1998. (…) Poiché il legislatore nel caso che ci occupa fa di mestiere il Ministro degli interni, è abbastanza plausibile che la rappresentazione della realtà ora brevemente riportata (pur se inesatta sino ad oggi) costituisca anche una profezia pronunciata da chi ha, almeno in parte, il potere di realizzarla (le commissioni per il riconoscimento dello status di protezione internazionale sono infatti composte, prevalentemente, da funzionari del Ministero dell’interno, certamente preparati ma non del tutto indipendenti rispetto alle sue direttive)».
[9] Cfr. D. Consoli e N. Zorzella, L’iscrizione anagrafica e l’accesso ai servizi territoriali dei richiedenti asilo ai tempi del salvinismo
[10] Cfr. E. Santoro, In direzione ostinata e contraria. Parere sull’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo alla luce del Decreto Salvini, in L’altro diritto, gennaio 2019, che afferma chiaramente che «è evidente che l’abolizione del diritto dei richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe della popolazione residente rappresenti la volontà del Ministero dell’Interno, del Ministro Salvini, proponente del decreto. Ma nel nostro sistema costituzionale questa volontà non ha un peso decisivo, essa deve fare i conti l’art. 101 comma 2 della Costituzione secondo cui “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Il “soltanto” inserito in questa frase sta a ricordarci che il giudice, per il principio della separazione dei poteri, è soggetto alla legge, non a un qualche potere, e sicuramente non a quello esecutivo. Ciò che deve guidare (anche i funzionari pubblici, per evitare inutili ricorsi e processi sulle loro decisioni) nella lettura dei testi normativi è in primo luogo il contesto costituzionale e il sistema di tutela multilivello dei diritti e poi il quadro sistematico rappresentato dall’ordinamento giuridico. Le interpretazioni fornite dalle circolari ministeriali sono rilevanti solo quando sono compatibili con questo quadro».
[11] Cfr. R. Guastini, Interpretare, costruire, argomentare, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. 2/2015, p. 14. Più compiutamente vds. ID. L’interpretazione dei documenti normativi, Milano, 2004, pp. 144 ss.; sul tema dell’interpretazione vds., ex multis, F. Modugno, Interpretazione giuridica, Padova, 2009; E. Betti, Teoria generale della interpretazione, Milano, 1990.
[12] Cass. Civ., Sez. I, 19 febbraio 2019, n. 4890
[13] La distinzione con lo schema norma-potere-effetto si deve a E. Capaccioli, Disciplina del commercio e problemi del processo amministrativo, in ID., Diritto e processo, Padova, 1978, p. 310.
[14] Sia consentito il rinvio a G. Serra, La Corte di cassazione e l’irretroattività del dl 113/2018: tra una decisione annunciata e spunti interpretativi futuri sul permesso di soggiorno per motivi umanitari
[15] Cfr. P. Morozzo della Rocca, Vecchi e nuovi problemi riguardanti la residenza anagrafica nel diritto dell’immigrazione e dell’asilo, cit. che ritiene che «quest’ultima disposizione non andrebbe sminuita – come di certo ad alcuni piacerebbe − ma sottoposta ad un’interpretazione costituzionalmente orientata che, tra l’altro, comprenda nel termine «servizi» la più ampia sfera possibile dei diritti sociali di cui sono debitori e garanti sia gli enti locali che le diverse amministrazioni dello Stato, nella loro disseminazione territoriale».
[16] Cfr. D. Consoli e N. Zorzella, L’iscrizione anagrafica e l’accesso ai servizi territoriali dei richiedenti asilo ai tempi del salvinismo , cit. che sostengono che «questo significa che il/la richiedente asilo ha diritto a tutte le prestazioni erogate sul territorio comunale, evidenziando che la disposizione non parla solo di servizi erogati dalla pubblica amministrazione e pertanto vanno compresi anche quelli di pertinenza di soggetti privati, quali le banche, le assicurazioni, le agenzie immobiliari, etc. A titolo esemplificativo, dunque, si possono ricomprendere i servizi afferenti all’istruzione (scuola, nidi d’infanzia) e alla formazione, anche professionale, ai tirocini formativi, alle misure di welfare locale (comunale e regionale), all’iscrizione ai Centri per l’impiego, all’apertura di conti correnti presso le banche o le Poste italiane, etc.».
[17] Cfr. P. Morozzo della Rocca, op. cit.
[18] Vds. in Giur. cost. 1996, 3096. In dottrina vds., ex multis, G. Zagrebelsky, La giustizia costituzionale nel 2003, in Giur. Cost. 2004; G. Serges, L’interpretazione conforme a Costituzione tra tecniche processuali e collaborazione dei giudici, in Scritti in onore di Franco Modugno, IV, Editoriale Scientifica, Napoli 2011.
[19] Così M. Ruotolo, Quando il giudice deve “fare da sé”, in questa Rivista on line, 22 ottobre 2018, http://questionegiustizia.it/articolo/quando-il-giudice-deve-fare-da-se-_22-10-2018.php.
[20] Corte Edu, Sentenza 29 ottobre 2009, Si Amer c. Francia. In tema cfr. M.G. Putaturo Donati, Il principio di non discriminazione ai sensi dell’art. 14 Cedu: risvolti sul piano del diritto internazionale e del diritto interno, in www.europeanrights.eu, che ricorda ad esempio come «la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha, in varie occasioni, avuto modo di sottolineare come la Convenzione non sancisca un obbligo per gli Stati membri di realizzare un sistema di protezione sociale o di assicurare un determinato livello delle prestazioni assistenziali; tuttavia, una volta che tali prestazioni siano state istituite e concesse, la relativa disciplina non può sottrarsi al giudizio di compatibilità con le norme della Convenzione e, in particolare, con l’art. 14 che vieta la previsione di trattamenti discriminatori».
[21] Su tale problematica vds. recentemente G. Bronzini, La sentenza n. 20/2019 della Corte costituzionale italiana verso un riavvicinamento all’orientamento della Corte di giustizia?
[22] F. Viganò, L’impatto della Cedu e dei suoi protocolli sul sistema penale italiano, in G. Ubertis e F. Viganò (a cura di), Corte di Strasburgo e giustizia penale, Torino, pp. 32 ss.
[23] Cfr. Corte di giustizia, Grande Sezione, C-414/16, 17 aprile 2018, Egenberger. Nello stesso senso cfr. Corte di giustizia, C-176/12, 15 gennaio 2014, Association de mèdiation sociale (AMS), in www.osservatoriosullefonti.it, con breve nota di N. Lazzerini, Corte di Giustizia, sent. 15 gennaio 2014, causa C-176/12 Association de Médiation sociale (1/2014), nella quale la Corte ricorda che «a questo proposito, occorre notare come le circostanze del procedimento principale si differenzino da quelle all’origine della (…) sentenza Kücükdeveci, nella misura in cui il principio di non discriminazione in base all’età, in esame in quella causa, sancito dall’articolo 21, paragrafo 1, della Carta, è di per sé sufficiente per conferire ai singoli un diritto soggettivo invocabile in quanto tale».
[24] Cass. Pen., Sez. VI, 15 novembre 2016, n. 54467, in Dir. Pen. Cont., fasc. 4/2017, p. 280 con nota di I. Gittardi, La miccia è accesa: la Corte di Cassazione fa diretta applicazione dei principi della Carta di Nizza in materia di ne bis in idem.
[25] Così C. Salazar, A Lisbon story: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea da un tormentato passato… a un incerto presente?, in www.gruppodipisa.it.


L’articolo è pubblicato nella Rubrica “Diritti senza confini”, nata dalla collaborazione fra le Riviste Questione Giustizia e Diritto Immigrazione e Cittadinanza per rispondere all’esigenza di promuovere, con tempestività e in modo incisivo il dibattito giuridico sulle principali questioni inerenti al diritto degli stranieri. Vai alla Rubrica


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Tribunale di Firenze: i richiedenti asilo hanno diritto all’iscrizione anagrafica

Commento a cura dell’avv. Daniela Consoli.

 

Il Tribunale di Firenze, con l’ordinanza in commento, fa salvo l’art. 4-bis d.lgs. 142/2015 così come introdotto dall’art. 13 d.l. 113/2018 conv. in l. 132/2018, formulando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, ed ordinando al Comune convenuto, per l’effetto, l’immediata iscrizione del ricorrente richiedente asilo nel registro anagrafico della popolazione residente.

La decisione, particolarmente articolata, ha il pregio di trattare, con rigore dogmatico, tutte le problematiche che consentono, all’interprete ed agli operatori del diritto, di procedere all’applicazione della norma senza ledere il diritto alla residenza dei richiedenti la protezione internazionale, nel rispetto della legge.

Il Tribunale fiorentino, innanzitutto, afferma un principio di generale portata ovvero che la norma una volta emanata “si stacca dall’organo che l’ha prodotta e non viene più in rilievo come una “decisione” legata a ragioni e fini di chi l’ha voluta, ma come un testo legislativo inserito nell’insieme dell’ordinamento giuridico” e dunque doverosamente interpretabile “in modo conforme al canone della coerenza con l’intero sistema normativo, coerenza che andrà evidentemente ricercata anche sul piano costituzionale

Ad avvalorare l’assunto il Tribunale tra l’altro menziona Cass. n. 3550/1988, n. 2454/1983 e n. 3276/1979.

Diversamente ragionando “l’interprete” non potrebbe “procedere alla …… esatta comprensione” della norma “secondo i canoni ermeneutici legali previsti all’art. 12 ss. delle preleggi”.

Posta la sintetizzata premessa, il Tribunale dà atto del fatto che “ogni richiedente asilo, una volta che abbia presentato la domanda di protezione internazionale, deve intendersi comunque regolarmente soggiornante” sul territorio dello Stato quantomeno per il tempo occorrente ad accertare il diritto alla protezione pretesa  e che “la regolarità del soggiorno sul piano documentale” può essere comprovata, oltre che dal permesso di soggiorno, di cui la norma in commento esclude la spendibilità, da ulteriori e diversi documenti quali ad esempio “gli atti inerenti l’avvio del procedimento volto al riconoscimento della fondatezza della pretesa di protezione ed in particolare attraverso il cd. “modello C3, e/o mediante il documento nel quale la questura attesta che il richiedente ha formalizzato l’istanza di protezione internazionale”

Il Tribunale inoltre fa rilevare come a conforto della decisione assunta milita un ulteriore argomento: l’art. art. 13, alla lett a) fa divieto di iscrizione anagrafica esibendo il solo permesso di soggiorno per richiesta asilo e la successiva lett c, abroga espressamente, l’istituto della cd convivenza anagrafica (introdotto con decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 conv. in legge 13 aprile 2017, n. 46) che, appunto, consentiva, l’iscrizione del richiedente la protezione internazionale, su comunicazione del responsabile della struttura di accoglienza attraverso l’invio del solo permesso di soggiorno per richiesta asilo.

Dunque, l’interpretazione coerente delle due disposizioni (lett. a e c dell’art. 13) porta a ritenere che il legislatore abbia sancito “l’abrogazione, non della possibilità di iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un permesso per richiesta asilo, ma solo della procedura semplificata prevista nel 2017 che introduceva l’istituto della convivenza anagrafica, svincolando l’iscrizione dai controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente residenti e per i cittadini italiani. Eliminando questa procedura il legislatore ha in qualche modo ripristinato il sistema di assoluta parità tra diversi tipologie di stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini italiani previsto dal T.U.I.”


Tribunale di Firenze, ordinanza del 18 marzo 2019


 

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Accesso ai servizi privati per i richiedenti asilo: circolare della Prefettura a Forlì

“Nessuna norma prevede che venga esibito il certificato di residenza (ovvero la carta d’identità), ma solo un documento di riconoscimento che nel caso dei richiedenti protezione internazionale è il permesso di soggiorno per richiesta asilo. “

Con una circolare diffusa il 29 gennaio 2019 la Prefettura di Forlì ha ribadito quanto prevede la normativa italiana in tema di accesso ai servizi privati, in particolare bancari, da parte dei richiedenti asilo presenti in Italia.

La Prefettura ricorda che con la Legge 132/2018 il permesso per richiesta di protezione internazionale non costituisce più titolo per l’iscrizione anagrafica, ma che “il permesso di soggiorno costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell,art 1, comma 1, lettera c) del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n’ 445“.

A tal fine i cittadini stranieri in attesa della risposta della Commissione Territoriale per il riconoscimento dello Status di Rifugiato per accedere ai servizi erogati da provati ( banche, poste, assicurazioni, ecc.) devono esibire ai fini del loro riconoscimento il solo permesso di soggiorno per richiesta asilo ricevuto a seguito della presentazione della domanda di protezione, non essendoci nessuna norma che preveda l’obbligo di mostrare un certificato di residenza o carta d’identità.

In particolare, poi, la Prefettura ricorda l’art. 126 novies-decies del D.lgs 385/1993 (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia)  che prevede un  ‘conto di Base’ :

Le banche, le società Poste Italiane s.p.a. e gli altri prestatori di servizi di pagamento abilitati ad offrire servizi a valere su un conto di pagamento sono tenuti, limitatamente ai servizi di pagamento che essi offrono ai consumatori, a offrire un conto di pagamento denominato in euro con caratteristiche di base, “conto di base”. Tutti i consumatori soggiornanti legalmente nell’Unione europea, senza discriminazioni e a prescindere dal luogo di residenza, hanno diritto all’apertura di un conto di base nei casi e secondo le modalità previste nella presente sezione. Ai fini della presente sezione, per consumatore soggiornante legalmente nell’Unione europea si intende chiunque abbia il diritto di soggiornare in uno stato membro dell’Unione europea in virtù del diritto dell’Unione o del diritto italiano, compresi i consumatori senza fissa dimora e i richiedenti asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo status di rifugiato, del relativo protocollo del 31 gennaio 1967 nonché ai sensi degli altri trattati internazionali in materia.

Gli Istituti di credito sono tenuti ad adottare tale tipo di conto a partire dal 14 aprile 2017, data di entrata in vigore del decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 37, in attuazione della direttiva 2014/92/UE, sulla comparabilità delle spese relative al conto di pagamento, sul trasferimento del conto di pagamento e sull’accesso al conto di pagamento con caratteristiche di base.

A differenza di un comune conto corrente – spiega Assoutenti di Catania – questo conto consente l’accredito di somme di denaro, derivanti da retribuzione da lavoro o pensione, che possono essere utilizzate solo per effettuare pagamenti (pagamenti di utenze, bonifici bancari), non anche per gestire il risparmio (come bonifici, pagamento di utenze eccetera).

 

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