Categoria Contrasto alle discriminazioni

La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità della legge regionale veneta sull’accesso alle case popolari

Fotografia di un condominio

Con sentenza n. 67 del 22 aprile 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il requisito di residenza quinquennale nel territorio regionale previsto dalla L. Regione Veneto n. 39 del 2017 per accedere alle graduatorie per l’edilizia residenziale pubblica.

La vicenda nasce nel 2022, quando il Comune di Venezia aveva pubblicato un bando per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica che, secondo quanto stabilito dalla normativa della Regione Veneto, prevedeva il requisito di “residenza anagrafica nel Veneto da almeno 5 anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi 10″. 

ASGI, Razzismo Stop Onlus, SUNIA – Federazione di Padova e un gruppo di cittadini stranieri (provenienti da Camerun e Venezuela) hanno presentato un ricorso presso il Tribunale di Padova, il quale, nel maggio 2023, ha dubitato della legittimità del requisito di residenza quinquennale e inviato gli atti alla Corte Costituzionale. 

Con la sentenza di oggi (Red. Navarretta) la Corte conferma un orientamento ormai più che granitico (a partire dalla sentenza 44/2020 ribadito con le sentenze n. 145 e 77 del 2023), dando atto che l’accesso all’abitazione, in quanto “diritto sociale inviolabile“, non può prevedere criteri che esulino dallo stato di bisogno della persona. Per l’accesso alle case popolari è dunque irragionevole qualsiasi requisito di residenza pregressa, che nulla ha a che vedere con i bisogni del richiedente, che è “insensibile alla condizione di chi è costretto a muoversi proprio per effetto della sua condizione di fragilità economica”, e che nemmeno può essere un idoneo indicatore sul futuro radicamento nel territorio dell’interessato. Tale valutazione rimane valida, sottolinea la Corte, anche qualora, come nel caso della Regione Veneto, la legge diluisca il criterio nel tempo, prevedendo la possibilità di maturare il requisito di 5 anni di residenza anche nell’arco di 10 anni. 

La Corte ha concluso dichiarando l’incostituzionalità della norma poiché prevedere “la residenza protratta nel territorio regionale quale criterio di accesso ai servizi dell’ERP equivale ad aggiungere agli ostacoli di fatto costituiti dal disagio economico e sociale un ulteriore e irragionevole ostacolo che allontana vieppiù le persone dal traguardo di conseguire una casa, tradendo l’ontologica destinazione sociale al soddisfacimento paritario del diritto all’abitazione della proprietà pubblica degli immobili ERP.”

Tale requisito andrà ora cancellato dalla legge regionale. Nel frattempo, i bandi che avevano escluso illegittimamente cittadini stranieri (e non) dovranno essere riaperti. 

Ancora una volta le ragioni dell’uguaglianza superano l’irragionevole e ideologica esclusione di alcune categorie di soggetti meritevoli di aiuto, cui viene negato il fondamentale diritto alla casa senza alcuna logica. 

Le associazioni invitano le Regioni che ancora presentano questa previsione (Piemonte e Umbria) a eliminarle senza attendere gli esiti dei giudizi in corso, ristabilendo così il principio secondo cui le politiche sociali devono avere come naturali destinatari le persone bisognose, indipendentemente dalla durata della residenza; ciò nell’interesse non solo dei cittadini stranieri (che hanno una mobilità interna più elevata degli italiani e sono quindi danneggiati da requisiti come questo) ma anche degli italiani la cui mobilità tra comuni e tra regioni dovrebbe essere favorita nell’interesse del dinamismo sociale e non ostacolata con l’esclusione dai diritti sociali.

Immagine di wirestock su Freepik

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La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità della legge regionale veneta sull’accesso alle case popolari

Fotografia di un condominio

Con sentenza n. 67 del 22 aprile 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il requisito di residenza quinquennale nel territorio regionale previsto dalla L. Regione Veneto n. 39 del 2017 per accedere alle graduatorie per l’edilizia residenziale pubblica.

La vicenda nasce nel 2022, quando il Comune di Venezia aveva pubblicato un bando per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica che, secondo quanto stabilito dalla normativa della Regione Veneto, prevedeva il requisito di “residenza anagrafica nel Veneto da almeno 5 anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi 10″. 

ASGI, Razzismo Stop Onlus, SUNIA – Federazione di Padova e un gruppo di cittadini stranieri (provenienti da Camerun e Venezuela) hanno presentato un ricorso presso il Tribunale di Padova, il quale, nel maggio 2023, ha dubitato della legittimità del requisito di residenza quinquennale e inviato gli atti alla Corte Costituzionale. 

Con la sentenza di oggi (Red. Navarretta) la Corte conferma un orientamento ormai più che granitico (a partire dalla sentenza 44/2020 ribadito con le sentenze n. 145 e 77 del 2023), dando atto che l’accesso all’abitazione, in quanto “diritto sociale inviolabile“, non può prevedere criteri che esulino dallo stato di bisogno della persona. Per l’accesso alle case popolari è dunque irragionevole qualsiasi requisito di residenza pregressa, che nulla ha a che vedere con i bisogni del richiedente, che è “insensibile alla condizione di chi è costretto a muoversi proprio per effetto della sua condizione di fragilità economica”, e che nemmeno può essere un idoneo indicatore sul futuro radicamento nel territorio dell’interessato. Tale valutazione rimane valida, sottolinea la Corte, anche qualora, come nel caso della Regione Veneto, la legge diluisca il criterio nel tempo, prevedendo la possibilità di maturare il requisito di 5 anni di residenza anche nell’arco di 10 anni. 

La Corte ha concluso dichiarando l’incostituzionalità della norma poiché prevedere “la residenza protratta nel territorio regionale quale criterio di accesso ai servizi dell’ERP equivale ad aggiungere agli ostacoli di fatto costituiti dal disagio economico e sociale un ulteriore e irragionevole ostacolo che allontana vieppiù le persone dal traguardo di conseguire una casa, tradendo l’ontologica destinazione sociale al soddisfacimento paritario del diritto all’abitazione della proprietà pubblica degli immobili ERP.”

Tale requisito andrà ora cancellato dalla legge regionale. Nel frattempo, i bandi che avevano escluso illegittimamente cittadini stranieri (e non) dovranno essere riaperti. 

Ancora una volta le ragioni dell’uguaglianza superano l’irragionevole e ideologica esclusione di alcune categorie di soggetti meritevoli di aiuto, cui viene negato il fondamentale diritto alla casa senza alcuna logica. 

Le associazioni invitano le Regioni che ancora presentano questa previsione (Piemonte e Umbria) a eliminarle senza attendere gli esiti dei giudizi in corso, ristabilendo così il principio secondo cui le politiche sociali devono avere come naturali destinatari le persone bisognose, indipendentemente dalla durata della residenza; ciò nell’interesse non solo dei cittadini stranieri (che hanno una mobilità interna più elevata degli italiani e sono quindi danneggiati da requisiti come questo) ma anche degli italiani la cui mobilità tra comuni e tra regioni dovrebbe essere favorita nell’interesse del dinamismo sociale e non ostacolata con l’esclusione dai diritti sociali.

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Il casellario delle identità AFIS: una banca dati discriminatoria usata dalle forze di polizia

ASGI sta lavorando da diversi mesi alla questione dell’uso discriminatorio delle banche dati da parte delle forze dell’ordine. E ha avviato una causa discriminatoria contro il Ministero dell’Interno assieme a Progetto Diritti.

AFIS è un database nel quale sono raccolti i dati (impronte digitali e foto) di persone italiane e straniere sottoposte a procedimenti penali e dei soli cittadini non europei nell’ambito delle procedure amministrative di rinnovo e conversione del permesso di soggiorno.

In applicazione di un decreto del Ministero dell’Interno del 24 maggio 2017, i dati amministrativi dei cittadini e delle cittadine extra UE vengono inseriti, confrontati e trattati come dati di polizia per il solo fatto di appartenere a persone straniere, con l’ulteriore paradosso che questi dati non vengono cancellati neanche quando le stesse ottengono la cittadinanza italiana.

Potere di accesso ai dati degli stranieri senza motivazione?

ASGI, dopo una serie di accessi agli atti e di accessi civici generalizzati al Ministero dell’Interno, ha rilevato che:

  • i cittadini stranieri non possono cancellare i loro dati se non dopo 20 anni dal loro inserimento anche se nel frattempo la loro condizione giuridica è mutata, i loro dati sono verificati e trattati con pochissime limitazioni e da un alto numero di autorità amministrative.
  • I dati delle persone straniere sono confrontati sistematicamente con migliaia di altri dati senza motivazioni specifiche al fine di essere utilizzati per finalità di polizia ed indagine.
  • In particolare i confronti delle foto sono esposti ad un alto tasso di errori a causa della mancanza di un algoritmo in grado di mettere a confronto immagini di cittadini con la pelle di colore scuro.
  • I dati contenuti in AFIS appartenenti a cittadini con la cittadinanza non europea sono la netta maggioranza.

Diversità di trattamento per milioni di persone

La Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, ha precisato il numero dei dati in loro possesso.

il numero di cartellini fotosegnaletici acquisiti e conservati all’interno della banca dati del Casellario Centrale d’Identità del Servizio Polizia Scientifica (AFIS), corrispondenti a cittadini di paesi terzi, con specifica indicazione: Cartellini acquisiti a soggetti che hanno dichiarato nazionalità: A) di paese terzo dell’Unione Europea 13.516.259, B) di stato membro dell’Unione Europea (Italia esclusa) 1.654.917, C) italiana 3.289.196. I dati sono riferiti al 28 luglio 2022”.

Infatti, i cittadini stranieri sono foto segnalati diverse volte nell’arco della loro permanenza in Italia: al momento del loro arrivo sul territorio, nei casi di rinnovo, rilascio, conversione del titolo di soggiorno e tutte le volte che vengono foto segnalati, i loro dati confluiscono nella banca dati del Casellario AFIS.

Per i cittadini italiani non funziona allo stesso modo: i dati di questi ultimi, rilasciati in occasione dell’ identificazione per finalità amministrative (es. per il rilascio del passaporto o della carta d’identità), sono conservati in registri appositi e non confluiscono nella banca dati AFIS (né possono essere in alcun modo utilizzati per scopi di indagine o altre finalità di polizia).

Causa antidiscriminatoria

ASGI, insieme all’Associazione Progetto Diritti ONLUS e due cittadini stranieri naturalizzati italiani, ha presentato un ricorso al Tribunale civile di Roma chiedendo l’accertamento del carattere discriminatorio del comportamento del Ministero dell’Interno, consistente nella conservazione e nel trattamento dei dati riguardanti i cittadini stranieri (raccolti in occasione delle pratiche amministrative di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno) all’interno di una banca dati di polizia utilizzata per la repressione dei reati. La conservazione e il trattamento di dati sensibili non può essere differenziata in ragione della nazionalità, salvo una espressa disposizione di legge, avendo i cittadini stranieri diritto alla parità di trattamento nei diritti civili rispetto agli italiani.

Inoltre, la raccolta di dati biometrici, anche se dovesse ritenersi effettuata per finalità di polizia o per interesse pubblico, deve essere regolata – secondo la disciplina italiana e euro-unitaria – da leggi o da regolamenti che disciplinino il trattamento alla luce della specifica funzione perseguita e che tutelino i diritti dei titolari, mentre nella situazione contestata la raccolta e l’inserimento in banca dati di polizia avviene in via di fatto, in assenza di un espresso e motivato atto normativo.

Tra le richieste che i ricorrenti hanno formulato al giudice, vi è la cancellazione dalla banca dati AFIS di tutti i dati appartenenti ai cittadini di Paesi non UE identificati per finalità di rilascio, rinnovo o conversione del permesso di soggiorno, nonché la cancellazione dei dati appartenenti ai cittadini stranieri naturalizzati italiani e la modifica del decreto ministeriale del 2017 che ha previsto l’obbligo di inserimento di tali dati in AFIS.

Infine, i ricorrenti ritengono che l’ attuale trattamento illegittimo possa essere superato solo laddove il Ministero adotti un apposito e separato registro in cui siano conservati esclusivamente i dati dei cittadini stranieri raccolti all’atto del loro fotosegnalamento per il rinnovo e la conversione del titolo di soggiorno, con conseguente cancellazione del registro AFIS dei dati di cittadini extra-UE raccolti per finalità amministrative e pertanto anche dei dati dei ricorrenti.

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Tribunali di Perugia e di Lucca: il permesso per cure mediche dà diritto alla pensione di invalidità

tribunale-faldoni

Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile e non episodico ha diritto alla pensione di invalidità civile, rientrando tale prestazione tra le provvidenze destinate al sostentamento della persona, nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile è inserito

Il Tribunale di Perugia ha riconosciuto il diritto a percepire la pensione di invalidità a uno straniero titolare del permesso per cure mediche della durata inferiore a un anno, ritenendo di valorizzare la data di ingresso e di inizio di soggiorno regolare in Italia (avvenuto diversi anni prima) anziché la durata dell’ultimo permesso in possesso.

Il ricorrente era infatti stato titolare -in passato- di permessi di soggiorno di durata almeno annuale (come richiederebbe l’art. 41 del TUI per poter accedere alle prestazioni di assistenza sociale) ma, anche se l’ultimo permesso di soggiorno di cui era in possesso era di durata inferiore all’anno, egli versava in una condizione di presenza non episodica, tale da porlo nelle condizioni di ottenere la pensione di invalidità.

Allo stesso modo ha deciso il Tribunale di Lucca, richiamando la giurisprudenza Costituzionale (in particolare le sentenze n. 187/2010 e 306/2008), e ritenendo che le prestazioni di assistenza sociale debbano essere riconosciute a tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti che possano dimostrare un soggiorno non di breve durata. Ebbene, è pacifico che un permesso di soggiorno della durata superiore a tre mesi provi un soggiorno non occasionale secondo l’accezione resa dalla stessa normativa nazionale (art. 4 co. 4 d.lgs. 286/1998 che qualifica i soggiorni di breve durata quelli di durata inferiore a tre mesi).

Già prima di queste due decisioni si erano pronunciati in modo favorevole altri Tribunali di Italia: il Tribunale di Arezzo (con ordinanza del 23.6.2020, confermata dalla C. App. Firenze, 5.10.21;), Il Tribunale di Ancona con ordinanza del 24.11.21; e il Tribunale di Padova con ordinanza del 21.3.22.


La sentenza del Tribunale di Perugia

La sentenza del Tribunale di Lucca

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Il “bonus patenti autotrasporto” non può essere riservato ai soli cittadini italiani e europei

Il Tribunale di Torino condanna il Ministero dei Trasporti, accogliendo il ricorso presentato da ASGI – Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione e da un cittadino ecuadoriano che si era visto rifiutare la domanda proprio perché straniero. Il Ministero dovrà modificare il decreto ministeriale e riaprire le domande per gli anni passati.


La vicenda nasce nel 2022 quanto il Ministero dei Trasporti, con un decreto ministeriale, aveva regolato l’assegnazione del bonus patenti autotrasporto introdotto con DL 10.9.21 n. 121, convertito con modificazioni dalla L. 156/2021 (un contributo per rimborsare le spese per acquisire la patente fino a un massimo di 2.500 euro) prevedendo che a tale bonus potessero accedere solo i cittadini italiani ed europei, anche se tale limitazione non era prevista dalla legge istitutiva.

La norma era parsa subito del tutto illegittima e ingiustificata, anche per la nota carenza che affligge il settore (e che già da tempo deve attingere ad autisti stranieri), tanto che ASGI era intervenuta presso il Ministero chiedendo la modifica del decreto, ma senza esito.

Ne è nato un contenzioso avanti il Tribunale di Torino ove ASGI ha chiesto la modifica del decreto e la riapertura dei termini per le domande e un cittadino ecuadoregno (che aveva tutti gli altri requisiti per ottenere il bonus, salvo la cittadinanza) il rimborso delle spese di scuola guida.

Il Tribunale ha accolto integralmente il ricorso ordinando al Ministero “di modificare il citato DM o comunque le comunicazioni al pubblico relativo al predetto “buono patenti autotrasporto”, eliminando il requisito della cittadinanza italiana o europea e consentendo l’accesso alla prestazione a tutti i cittadini stranieri regolarmente residenti che ne facciano richiesta, fermi tutti gli altri requisiti”, disponendo la riformulazione della graduatoria degli aventi diritto, e di provvedere altresì alla “pubblicazione del dispositivo del provvedimento sul sito istituzionale dell’amministrazione” per un periodo di 30 giorni. 

Il Tribunale ha anche condannato il Ministero al pagamento di una multa di 100 euro al giorno a decorrere dal 30° giorno successivo alla decisione, in caso di ritardo nell’adempimento.

La sentenza è provvisoriamente esecutiva, quindi ora i termini dovranno essere riaperti e gli stranieri potranno presentare domanda di rimborso, anche con riferimento agli anni pregressi.

Per approfondire

Il “Bonus Patenti” era una delle discriminazioni istituzionali di cui avevamo parlato nel rapporto “Quando discriminano le istituzioni: uguaglianza, diritti sociali, immigrazione, realizzato nell’ambito del progetto L.A.W. – Leverage the Access to Welfare, co-finanziato dall’Unione europea. Nel report vengono elencate le discriminazioni istituzionali con l’obiettivo di identificarle e di fornire gli strumenti per contrastarle.

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Minori stranieri non accompagnati: Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa richiama l’Italia ad attuare le sentenze della Corte Europea dei Diritti umani

Con un’importante decisione pubblicata il 15 marzo, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha valutato che l’Italia non abbia adeguatamente attuato la sentenza della Corte Europea dei Diritti umani Darboe e Camara c. Italia e ha invitato le autorità ad adottare le misure necessarie alla sua attuazione.

In tale sentenza, del 2022, l’Italia era stata condannata per aver collocato un minore straniero non accompagnato per più di 4 mesi in un centro di accoglienza per adulti, sovraffollato e privo di strutture e assistenza sanitaria adeguate, e per averlo identificato come adulto, solo sulla base di un esame radiografico del polso e senza garantirgli la possibilità di presentare ricorso.

Nel 2023, il Governo italiano ha chiesto al Comitato dei Ministri di chiudere la procedura di supervisione della sentenza, sostenendo che siano state prese le necessarie misure per far cessare le violazioni riscontrate. 

ASGI ha inviato due comunicazioni al Comitato, evidenziando come, nell’accoglienza e nelle procedure di accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati, persistano violazioni sistemiche della Convenzione Europea dei Diritti umani analoghe a quelle per cui l’Italia è stata condannata nella sentenza Darboe e Camara, e come tali violazioni siano aumentate significativamente in seguito all’entrata in vigore del decreto legge 133/23, convertito in legge 176/23. 

Nella decisione del 15 marzo 2024, il Comitato dei Ministri “prende atto con preoccupazione che la legislazione emanata nell’ottobre 2023 sembra avere notevolmente ridotto le garanzie relative alla procedura di accertamento dell’età, incluse quelle centrali nell’analisi della Corte Europea”, affermando che “sono necessarie ulteriori misure per garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni emanate nel 2017 e per garantire che anche in situazioni di emergenza, i minori non accompagnati beneficino in diritto e in pratica della presunzione di minore età e delle garanzie minime che, in base a queste sentenze, devono accompagnare la procedura di accertamento dell’età”.

Inoltre, il Comitato dei Ministri afferma che la capacità del sistema di accoglienza dei minori non accompagnati “rimane largamente insufficiente e che sono quindi necessarie ulteriori misure per garantire che i minori non accompagnati che arrivano in Italia siano collocati in strutture dedicate e in condizioni adeguate o beneficino di altre sistemazioni adeguate alle loro esigenze di minori, e quindi rispondenti al loro superiore interesse, incluso nel periodo di attesa dell’esito delle procedure di accertamento dell’età”.

Il Comitato “sottolinea fermamente che l’obbligo delle autorità di attenersi alla sentenza della Corte in Darboe e Camara include la prevenzione di ulteriori violazioni del divieto assoluto di trattamenti inumani o degradanti, che non ammette eccezioni o deroghe neanche in situazioni di emergenza; ha quindi espresso la profonda preoccupazione per la legislazione emanata alla fine del 2023 che ha invece fornito la base giuridica per collocare i migranti non accompagnati di età superiore ai 16 anni in strutture per adulti, per periodi fino a 150 giorni” e ha invitato le autorità a “risolvere le carenze nell’osservanza delle garanzie procedurali minime durante le procedure di accertamento dell’età”.

Alle autorità viene richiesto di fornire informazioni sulle misure adottate per affrontare questi problemi entro il 15 settembre 2024, in vista del prossimo esame dell’attuazione della sentenza da parte del Comitato dei Ministri.

I casi in esame riguardano il mancato rispetto da parte delle autorità delle garanzie minime previste a tutela dei minori stranieri non accompagnati, in particolare durante le procedure di accertamento dell’età, in relazione alle condizioni del loro soggiorno e al loro collocamento nei centri di accoglienza per adulti; nonché in relazione all’inefficacia o l’indisponibilità degli strumenti di tutela.

Per quanto riguarda le misure individuali

Il Comitato ha esortato le autorità a pagare, senza ulteriori indugi, il risarcimento assegnato dalla Corte al sig. Diakitè per il danno non patrimoniale e le spese processuali e ad informare di conseguenza il Comitato.

Per quanto riguarda le misure generali

Preso atto delle informazioni sulla riforma del 2017 sull’accertamento dell’età nel contesto migratorio, che la Corte ha ritenuto rispondere ai più alti standard internazionali, inclusi quelli stabiliti nella raccomandazione pertinente del Comitato dei Ministri agli Stati membri; preso atto con preoccupazione che la legislazione emanata nell’ottobre 2023 sembra avere notevolmente ridotto le garanzie relative alla procedura di accertamento dell’età, incluse quelle centrali nell’analisi della Corte Europea in questi casi;

Considerato, alla luce delle informazioni disponibili, che sono necessarie ulteriori misure per garantire l’effettiva attuazione delle disposizioni emanate nel 2017 e per garantire che anche in situazioni di emergenza, che i minori non accompagnati beneficino in diritto e in pratica della presunzione di minore età e delle garanzie minime che, in base a queste sentenze, devono accompagnare la procedura di accertamento dell’età;

Riconosciuti gli sforzi compiuti dalle autorità italiane per aumentare la capacità di accoglienza dei minori non accompagnati, si nota con preoccupazione che questa capacità rimane largamente insufficiente e che sono quindi necessarie ulteriori misure per garantire che i minori non accompagnati che arrivano in Italia siano collocati in strutture dedicate e in condizioni adeguate o beneficino di altri accordi assistenziali adatti alle loro esigenze di bambini e ragazzi, e quindi rispondenti al loro migliore interesse, anche nel periodo di attesa dell’esito delle procedure di accertamento dell’età;

In questo contesto, il Comitato ha sottolineato fermamente che l’obbligo delle autorità di attenersi alla sentenza della Corte in Darboe e Camara include la prevenzione di ulteriori violazioni dell’assoluto divieto di trattamenti inumani o degradanti, che non ammette eccezioni o deroghe anche in situazioni di emergenza; ha quindi espresso la profonda preoccupazione per la legislazione emanata alla fine del 2023 che ha invece fornito la base giuridica per collocare i migranti non accompagnati di età superiore ai 16 anni in strutture per adulti, per periodi fino a 150 giorni;

Per quanto riguarda i rimedi interni, il Comitato ha richiesto alle autorità di indicare rapidamente se e quali vie legali sono disponibili nel diritto interno per i migranti minori non accompagnati che vogliano intentare una causa legale e ottenere un risarcimento in relazione alle loro condizioni di accoglienza; il Comitato ha ritenuto che la disponibilità ed efficacia di strumenti di tutela durante le procedure di accertamento dell’età dipenda dall’azione delle autorità che devono risolvere le carenze nell’osservanza delle garanzie minime durante queste procedure;

Le autorità sono tenute a fornire informazioni sulle misure aggiuntive adottate e previste per affrontare le questioni sopra menzionate e le altre questioni delineate nell’analisi preparata dal Segretariato per il presente  esame entro il 15 settembre 2024; si è deciso di riprendere la valutazione  dei casi in una delle riunioni sui Diritti Umani nel 2025.


Ansa, 15 marzo 2024: Italia ancora sorvegliata speciale per i diritti dei migranti minorenni

Minori stranieri non accompagnati e prima accoglienza in Italia

I minori, appena giunti sul nostro territorio hanno diritto al permesso di soggiorno per minore età (art. 32 D.Lgs. 286/98) e ad essere accolti nei centri a ciò deputati dal Ministero dell’Interno fino al raggiungimento della maggiore età. La legge italiana vieta espressamente il trattenimento dei minori stranieri non accompagnati nei centri di permanenza per il rimpatrio, negli hotspot e nei centri governativi di prima accoglienza (D.Lgs. 142/2015).

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Photo credit: CherryX per Wikimedia Commons, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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ASGI ricorda l’attivista Josef Yemane Tewelde

Ieri è morto prematuramente Josef Yemane Tewelde, attivista di Black Lives Matter Roma e costante promotore di iniziative, reti, mobilitazioni antirazziste. ASGI ha avuto modo di collaborare con Josef in molte occasioni: abbiamo condiviso riunioni e piazze, abbiamo scritto insieme comunicati e posizionamenti.

Josef era uno dei volti più noti dell’attivismo romano. Ha fatto direttamente esperienza dell’esclusione dalla cittadinanza: anche per questo motivo – accanto alla forte passione politica che lo caratterizzava – si è mobilitato per il superamento della legge attuale. È stato tra i protagonisti delle iniziative contro i CPR e, più in generale, contro le politiche di razzializzazione ed esclusione dai diritti.

Il suo entusiasmo, la sua competenza, le sue capacità politiche e organizzative e il suo sorriso sono stati, negli ultimi due decenni, una formidabile leva di attivazione sociale e politica.

Josef ci mancherà moltissimo. Salutiamo con affetto la sua famiglia, lɜ suoɜ amicɜ, lɜ suoɜ compagnɜ e l’ampissima rete di persone che gli volevano bene.

Foto da Facebook

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Tribunale di Torino: il permesso attesa occupazione dà diritto all’AUU

famiglia minori
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Il Tribunale di Torino, con sentenza del 1 marzo 2024, ha confermato quanto già deciso dal Tribunale di Trento con sentenza del 19 settembre 2023: i titolari e le titolari di permesso per attesa occupazione possono usufruire dell’Assegno Unico Universale.

Nonostante la pronuncia di Trento che, in maniera chiara e incontrovertibile, ha ordinato all’INPS la modifica della circolare n. 23/2022  indicando tra gli aventi diritto all’AUU anche i titolari di permesso di soggiorno per attesa occupazione, l’Istituto insiste nella sospensione della misura alle titolari di tale permesso.

Non è chiaro perché l’INPS non si sia ancora adeguato a tale pronuncia, dato che essa avrebbe effetti erga omnes: il Tribunale di Trento ha infatti ordinato la revisione di tutti i provvedimenti di rigetto o di sospensione adottati (In tutta Italia) nei confronti dei titolari di permesso per attesa occupazione.

Il Tribunale di Torino, pur non riconoscendo (inspiegabilmente!) la discriminazione, ha accolto il ricorso di due cittadine senegalesi residenti in Italia da 14 anni.

Secondo il giudice torinese sussiste il diritto a percepire l’Assegno Unico Universale delle titolari del permesso per attesa occupazione in quanto tale permesso è qualificabile come mera species del permesso unico di lavoro e dunque, ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 230/2021, rientra tra i requisiti soggettivi per poter accedere alla misura.

Come emerge chiaramente dalle disposizioni di cui all’art. 22 del TUI, nel caso di perdita temporanea dell’occupazione il cittadino straniero non appartenente ad un Paese dell’Unione Europea non subisce la revoca del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, di cui dispone, ma conserva la facoltà di soggiornare regolarmente nel territorio dello Stato per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito da lui percepita.

ASGI invita tutte le cittadine e i cittadini extra UE titolari di permesso per attesa occupazione a cui sia stato sospeso o rigettato l’AUU a scrivere all’INPS per richiedere la riattivazione della misura alla luce delle pronunce dei Tribunali di Trento e di Torino

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La Corte Costuzionale conferma: il giudice civile può ordinare la modifica di atti amministrativi discriminatori

Decisivo passo avanti della tutela antidiscriminatoria a fronte di “discriminazioni istituzionali”: la Corte Costituzionale sancisce il potere del giudice civile di ordinare alla PA la modifica di atti amministrativi discriminatori, anche aventi efficacia generale.

Della sentenza 15/2023 abbiamo altrove riferito per quanto riguarda gli effetti sulla legge regionale del Friuli che da anni richiedeva “documenti aggiuntivi” ai cittadini stranieri per accedere a tutti gli strumenti di sostegno pubblico all’abitare (graduatorie per gli alloggi ERP, fondo per il contributo affitti, mutui agevolati): la Corte, ribadendo i principi già affermati nella sentenza n. 9/2021 ha dichiarato l’incostituzionalità della norma, facendo riferimento, in questo caso, ai soli titolari di permesso di lungo periodo perché l’eccezione era stata sollevata limitatamente a questa categoria di stranieri (le argomentazioni della Corte fanno comunque leva anche sulla irragionevolezza della norma e si prestano quindi ad essere applicate a tutti gli stranieri, come peraltro aveva fatto la sentenza n. 9 cit.).

Nella stessa sentenza la Corte ha deciso anche il “ricorso per conflitto di attribuzioni” sollevato dalla Regione Friuli contro il Tribunale di Udine in relazione a un’altra pronuncia, avente il medesimo oggetto (i “documenti aggiuntivi”) nella quale il giudice aveva ordinato alla Regione la modifica del Regolamento in materia.

Con il ricorso la Regione aveva formulato alla Corte due domande gradate: con la prima aveva chiesto alla Corte di affermare che non spetta al giudice ordinario ordinare la modifica di un Regolamento, configurandosi altrimenti una invasione del potere giudiziario nella sfera di autonomia riservata alla Regione e alla PA; con la seconda aveva chiesto, in subordine, di affermare che tale potere non spetta nel caso specifico perche il Regolamento era meramente riproduttivo della norma di legge regionale e dunque il giudice  avrebbe dovuto sollevare previamente la questione di costituzionalità della norma di legge riprodotta nel regolamento.

Nel giudizio è intervenuta ASGI (che era parte nel giudizio in cui era stato emesso l’ordine, ma non era ovviamente parte del conflitto di attribuzione che riguardava un potere dello Stato e una Regione) e l’intervento è stato ammesso.

La Corte ha accolto la domanda subordinata, rilevando che l’ordine di modifica di un Regolamento riproduttivo di una norma di legge avrebbe imposto alla Regione di adottare e applicare una norma regolametare difforme da una legge e che la disapplicazione della legge per contrasto con il diritto dell’Unione, se è consentita e anzi doverosa al fine di far conseguire al singolo il bene garantito appunto dal diritto eurounitario, tuttavia non è consentita al fine di ottenere il “rimedio generale” previsto dalla azione civile contro la discriminazione ex art. 28 dlgs 150/2011 cioè l’ordine di rimozione della norma regolamentare (ed è qiesto il punto rispetto al quale la sentenza merita ulteriori riflessioni).

La Corte ha invece respinto espressamente la prospettazione principale con argomentazioni molto incisive relative all’atto amministrativo discriminatorio e ai poteri di rimozione del giudice, spazzando via le perplessità che ancora oggi si palesano talvolta nei Tribunali e nelle Corti.

In particolare secondo la Corte “la pienazza della tutela speciale così costruita dal legislatore (cioè con l’art. 28 cit.) si estende sino a consentire al giudice ordinario – pur senza tratteggiare l’attribuzione, ai sensi dell’art. 113, terzo comma, Cost. di un eccezionale potere di annullamento degli atti amministrativi – di pronunciare sentenze di condanna nei confronti della PA per avere adottato atti discriminatori, dei quali può ordinare la rimozione”. E ancora “la logica sottesa alla scelta compiuta dal legidslatore  con l’art. 28, comma 5, dlgs 150/2011 è … consentire al giudice ordinario, accertato il carattere discriminatorio della norma regolamentare, di ordinarne la rimozione, poiché altrimenti essa, per la sua naturale capacità di condizionare l’esercizio della attività amministrativa, potrà determinare l’insorgere di ulteriori e indefinite discriminazioni identiche o analoghe a quelle sanzionate in giudizio.” La strada aperta da ASGI con un ampio contenzioso contro la “discriminazione istituzionale” resta dunque aperta e riceve anzi una conferma autorevolissima che, si spera, non potrà più tornare in discussione.

Foto di KATRIN BOLOVTSOVA da Pexels

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Prima chi ne ha più bisogno – contro le discriminazioni nel Diritto alla Casa

In vista della discussione sulla riforma della legge regionale sull’edilizia sociale in corso in Consiglio regionale a Torino 25 associazioni, tra cui ASGI, si oppongono all’inserimento di requisiti discriminatori.

La rivisitazione della legge regionale sull’edilizia sociale che si sta discutendo in Consiglio Regionale prevede anche una nuova specifica norma che va a modificare l’articolo 8 della legge 3 del 2010, concedendo punteggi aggiuntivi alle persone residenti in Piemonte da 15, 20 o 25 anni. 

Questa proposta va a ledere il principio che dovrebbe guidare il diritto e quindi anche il diritto alla casa: essere equamente garantito, dunque rivolto alle persone giudicate in condizione di maggiore necessità e fragilità. Questa norma, che favorisce chi è residente da più tempo e in modo continuativo, va a discriminare tutte le persone, cittadine italiane e non, che, nonostante ne abbiano la necessità e il diritto, per diversi motivi possono non avere maturato la residenza richiesta e risultare quindi ingiustamente svantaggiate. 

Inoltre questa norma, inserendo superflui elementi di merito nelle graduatorie, mette in competizione persone in condizione di necessità e presenta il forte rischio di alimentare l’instabilità e l’odio sociale. A questi si dovrebbe invece rispondere con misure e investimenti utili a far fronte ai tanti problemi dell’edilizia sociale nella nostra Regione, per escludere il meno possibile le persone, aumentando il numero di case a disposizione, e migliorando la qualità delle strutture e dei servizi.
Molte osservazioni in merito sono state formalmente presentate in seguito alla richiesta di consultazione del settembre 2023 del disegno di legge 130.

Questa nota va a ribadire la preoccupazione di tanti soggetti quotidianamente coinvolti a diverso titolo nel favorire il diritto alla casa,  nei confronti di questa misura discriminatoria che sta per essere approvata dall’Istituzione che dovrebbe essere invece garante di equità e giustizia.

È ancora possibile aderire scrivendo a ramona.boglino@acmos.net

Hanno sottoscritto la nota:

ACMOS

ALMATERRA

AMMI ETS

ARCI TORINO

ARTERIA

ALTRIMODI

ASGI 

ASSOCIAZIONE AIA APS

ASSOCIAZIONE SPERANZA

BENVENUTI IN ITALIA

CIFA ETS

COMUNET

FAMIGLIE ACCOGLIENTI Torino

FLAICA CUB 

FONDAZIONE DI COMUNITA’ PORTA PALAZZO

I RAGAZZI DEL FIUME 

LANGUAGE AID ETC

MAGAZZINO SUL PO

PSICOLOGI DEL MONDO

REFUGEES WELCOME

ASSOCIAZIONE SPERANZA

VOLERE LA LUNA

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