Asso 28, la corte di appello di Napoli conferma: il respingimento verso la Libia è illegittimo

La Corte d’Appello di Napoli ha confermato la condanna del comandante della nave privata Asso 28 della compagnia Augusta Offshore per aver ricondotto in Libia oltre cento persone soccorse in mare

Anche la Corte d’Appello all’esito dell’udienza del 10 novembre 2022 conferma la decisione del Tribunale di Napoli che aveva ritenuto che la condotta del capitano integrasse i reati di “sbarco e abbandono arbitrario di persone”, di cui all’art. 1155 del codice di navigazione, e di “abbandono di minore” di cui all’art. 591 del codice penale. Le motivazioni saranno disponibili a marzo 2023.

Se finora queste prassi hanno goduto di un’effettiva impunità e sono state adottate in maniera sistematica dalle autorità italiane per impedire alle persone migranti di raggiungere le coste italiane, la conferma della condanna rafforza il principio che nessun capitano è esentato dal rispetto del diritto internazionale ed in particolare dalla necessità che i naufraghi siano condotti in un porto sicuro quale non è la Libia.

I fatti

La vicenda oggetto del procedimento è avvenuta il 30 luglio 2018. La Asso 28, rimorchiatore della società armatrice “Augusta Offshore” che operava a supporto della piattaforma Sabratha della società petrolifera “Mellitah Oil & Gas” – è stata allertata da personale della piattaforma della presenza di un gommone con 101 persone migranti in acque internazionali, tra cui donne e bambini. La Asso 28, dopo aver accolto a bordo un presunto agente libico, ha intercettato il gommone ed ha riportato i migranti in Libia, dove sono sbarcati al porto di Tripoli per essere poi nuovamente detenuti e sottoposti a trattamenti degradanti e violazioni dei propri diritti.

ASGI, già costituita parte civile nel processo di fronte al Tribunale e poi di nuovo dinanzi la Corte d’Appello con gli avvocati Piergiorgio Weiss ed Ettore Zanoni, reitera il suo impegno nel contrastare le prassi di respingimento nel Mediterraneo centrale. E auspica che sempre più Tribunali riconoscano le responsabilità tanto delle autorità che dei privati nelle violazioni risultanti da tali condotte illegittime.


Questa azione rientra nelle attività del progetto Sciabaca e Oruka, che promuove azioni di contenzioso strategico transnazionale per contrastare le politiche di esternalizzazione nel continente e difendere i diritti delle persone in movimento. Ecco le sei azioni elaborate insieme ai nostri partner Avocats Sans Frontières (ASF) Tunisia, il Cairo Institute for Human Rights Studies e il Network of University Legal Aid Institutions (NULAI-Nigeria).

Il video è disponibile in francese, inglese e arabo.

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La Commissione africana per i diritti umani e dei popoli deve condannare le atrocità in Libia

Ceiling of the main room of the International Conference Centre, Serrekunda, Gambia. The centre hosted the 73a session of the African Commission of Human and People's right. Photo credit: Fouad Roueiha

Ceiling of the main room of the International Conference Centre, Serrekunda, Gambia. The centre hosted the 73a session of the African Commission of Human and People’s right. Photo credit: Fouad Roueiha 

LIstituto del Cairo per gli studi sui diritti umani (CIHRS) e l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) si rammaricano per la mancanza di spazio concesso alle organizzazioni della società civile libica per confrontarsi con la Commissione africana per i diritti umani e dei popoli (ACHPR) sulla situazione delle persone migranti in Libia. L’assenza di uno spazio di consultazione con l’ACPHR è preoccupante alla luce della gravità delle violazioni perpetrate contro persone migranti e rifugiate dentro e fuori i centri di detenzione libici.

Il 28 e 29 ottobre 2022, una coalizione di ONG libiche sostenuta da ASGI e CIHRS ha partecipato alla 73a sessione ordinaria dell’ACPHR a Banjul, in Gambia. Uno dei principali obiettivi della missione era quello di sollecitare la Commissione ad assumere una posizione chiara ed efficace in merito alle atrocità contro i migranti e i rifugiati in Libia

Le associazioni della società civile libica hanno cercato di intervenire nella discussione, ma non è stata data loro la possibilità di presentare le proprie preoccupazioni e richieste, pur essendo registrate per intervenire nella sessione plenaria. Ciò è preoccupante considerata anche la presenza di un rappresentante del governo libico, che è intervenuto diverse volte elogiando il ruolo della Commissione africana e dei suoi Stati membri, evitando però una discussione approfondita sulla situazione delle persone migranti e rifugiate in Libia. La Commissione ha di fatto manipolato il tempo, dando alle delegazioni statali opportunità sufficienti per commentare e intervenire più di una volta, mentre ha deliberatamente sacrificato il tempo concesso per i commenti dei rappresentanti della società civile. La gestione del tempo della sessione non rifletteva alcun desiderio o volontà genuina di raggiungere la giustizia e l’equità per i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo, e gli interventi dei rappresentanti della società civile sono stati spesso ignorati.

Nonostante le restrizioni all’interazione della società civile con la Commissione, la coalizione di organizzazioni libiche ha presentato ai commissari e alle commissarie una sintesi aggiornata sulle violazioni contro i cittadini stranieri in Libia durante la sessione, con la richiesta di affrontare finalmente e con urgenza la questione. 

Le scriventi organizzazioni chiedono all’ACHPR di riaffermare il suo ruolo di “garantire la protezione dei diritti umani e dei popoli”, come sancito dalla Carta di Banjul, e di aprire un’indagine sulle gravi violazioni dei diritti umani contro i rifugiati e i migranti nei centri di detenzione libici. Le organizzazioni chiedono inoltre alla Libia di rispettare i suoi obblighi in materia di diritti umani, in particolare per quanto riguarda la protezione di migranti, rifugiati e altre persone tra le più vulnerabili della società. 

Cosa è stato fatto 

La Commissione è già stata interpellata nel luglio 2019, quando il CIHRS in collaborazione con la Libyan Platform Coalition, con il sostegno dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) e dell’associazione ARCI, ha presentato una richiesta congiunta per chiedere un’indagine sulle violazioni dei diritti umani contro le persone migranti e rifugiate nei centri di detenzione libici. 

La richiesta denuncia molteplici violazioni dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, tra cui: Divieto di tortura e di trattamenti crudeli, inumani e degradanti (articolo 5), Diritto alla libertà personale e alla protezione dall’arresto arbitrario (articolo 6) e Diritto a un giusto processo (articolo 7). 

Le accuse contenute nella richiesta si basano sulle testimonianze raccolte da persone detenute a Tajoura, El Nasr Zawiya e Zintan, che affermano di essere state torturate, tenute in condizioni disumane, affamate, a cui è stato negato l’accesso a servizi igienici, cibo e assistenza legale. I tre centri di detenzione erano ufficialmente gestiti all’epoca dal Ministero degli Interni del Governo di Accordo Nazionale (GNA), riconosciuto a livello internazionale, con sede a Tripoli. 

Dal 2019, nonostante il cambio di governo nel marzo 2021, la situazione ha continuato a peggiorare e il governo libico non ha migliorato le condizioni dei centri di detenzione né quelle più generali dei cittadini e cittadine straniere nel Paese. I crimini contro l’umanità sono sistematicamente commessi contro le persone migranti su vasta scala da attori statali e non statali, con un alto livello di organizzazione e con l’incoraggiamento dello Stato.

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La Commissione africana per i diritti umani e dei popoli deve condannare le atrocità in Libia

Ceiling of the main room of the International Conference Centre, Serrekunda, Gambia. The centre hosted the 73a session of the African Commission of Human and People's right. Photo credit: Fouad Roueiha

Ceiling of the main room of the International Conference Centre, Serrekunda, Gambia. The centre hosted the 73a session of the African Commission of Human and People’s right. Photo credit: Fouad Roueiha 

LIstituto del Cairo per gli studi sui diritti umani (CIHRS) e l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) si rammaricano per la mancanza di spazio concesso alle organizzazioni della società civile libica per confrontarsi con la Commissione africana per i diritti umani e dei popoli (ACHPR) sulla situazione delle persone migranti in Libia. L’assenza di uno spazio di consultazione con l’ACPHR è preoccupante alla luce della gravità delle violazioni perpetrate contro persone migranti e rifugiate dentro e fuori i centri di detenzione libici.

Il 28 e 29 ottobre 2022, una coalizione di ONG libiche sostenuta da ASGI e CIHRS ha partecipato alla 73a sessione ordinaria dell’ACPHR a Banjul, in Gambia. Uno dei principali obiettivi della missione era quello di sollecitare la Commissione ad assumere una posizione chiara ed efficace in merito alle atrocità contro i migranti e i rifugiati in Libia

Le associazioni della società civile libica hanno cercato di intervenire nella discussione, ma non è stata data loro la possibilità di presentare le proprie preoccupazioni e richieste, pur essendo registrate per intervenire nella sessione plenaria. Ciò è preoccupante considerata anche la presenza di un rappresentante del governo libico, che è intervenuto diverse volte elogiando il ruolo della Commissione africana e dei suoi Stati membri, evitando però una discussione approfondita sulla situazione delle persone migranti e rifugiate in Libia. La Commissione ha di fatto manipolato il tempo, dando alle delegazioni statali opportunità sufficienti per commentare e intervenire più di una volta, mentre ha deliberatamente sacrificato il tempo concesso per i commenti dei rappresentanti della società civile. La gestione del tempo della sessione non rifletteva alcun desiderio o volontà genuina di raggiungere la giustizia e l’equità per i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo, e gli interventi dei rappresentanti della società civile sono stati spesso ignorati.

Nonostante le restrizioni all’interazione della società civile con la Commissione, la coalizione di organizzazioni libiche ha presentato ai commissari e alle commissarie una sintesi aggiornata sulle violazioni contro i cittadini stranieri in Libia durante la sessione, con la richiesta di affrontare finalmente e con urgenza la questione. 

Le scriventi organizzazioni chiedono all’ACHPR di riaffermare il suo ruolo di “garantire la protezione dei diritti umani e dei popoli”, come sancito dalla Carta di Banjul, e di aprire un’indagine sulle gravi violazioni dei diritti umani contro i rifugiati e i migranti nei centri di detenzione libici. Le organizzazioni chiedono inoltre alla Libia di rispettare i suoi obblighi in materia di diritti umani, in particolare per quanto riguarda la protezione di migranti, rifugiati e altre persone tra le più vulnerabili della società. 

Cosa è stato fatto 

La Commissione è già stata interpellata nel luglio 2019, quando il CIHRS in collaborazione con la Libyan Platform Coalition, con il sostegno dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) e dell’associazione ARCI, ha presentato una richiesta congiunta per chiedere un’indagine sulle violazioni dei diritti umani contro le persone migranti e rifugiate nei centri di detenzione libici. 

La richiesta denuncia molteplici violazioni dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, tra cui: Divieto di tortura e di trattamenti crudeli, inumani e degradanti (articolo 5), Diritto alla libertà personale e alla protezione dall’arresto arbitrario (articolo 6) e Diritto a un giusto processo (articolo 7). 

Le accuse contenute nella richiesta si basano sulle testimonianze raccolte da persone detenute a Tajoura, El Nasr Zawiya e Zintan, che affermano di essere state torturate, tenute in condizioni disumane, affamate, a cui è stato negato l’accesso a servizi igienici, cibo e assistenza legale. I tre centri di detenzione erano ufficialmente gestiti all’epoca dal Ministero degli Interni del Governo di Accordo Nazionale (GNA), riconosciuto a livello internazionale, con sede a Tripoli. 

Dal 2019, nonostante il cambio di governo nel marzo 2021, la situazione ha continuato a peggiorare e il governo libico non ha migliorato le condizioni dei centri di detenzione né quelle più generali dei cittadini e cittadine straniere nel Paese. I crimini contro l’umanità sono sistematicamente commessi contro le persone migranti su vasta scala da attori statali e non statali, con un alto livello di organizzazione e con l’incoraggiamento dello Stato.

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#6 React: I fondi italiani per il controllo delle migrazioni perseguono finalità illecite?

Pubblichiamo il sesto contributo della serie di spunti operativi di pratiche e contenzioso strategico per reagire contro le illegittimità e le violazioni dei diritti dellз cittadinз stranierз in fuga dai loro paesi di origine o di transito. 

Con React – il Diritto in pratica vogliamo descrivere in modo sintetico ma completo come abbiamo deciso di affrontare i casi di respingimento in mare, di rimpatri “volontari” dalla Libia dellз rifugiatз, della cooperazione italiana nelle violazioni delle autorità libiche, delle restrizioni della libertà di movimento e di asilo dellз cittadinз stranierз, del monitoraggio dei fondi pubblici nei paesi di transito e del loro possibile sviamento. 

Questo è un invito a leggere e replicare queste azioni.

Per un motivo principale: se aumenta la consapevolezza rispetto alle violazioni e alle possibili soluzioni e se in tantз agiamo in modo coordinato per chiedere il rispetto dei diritti dellз cittadinз stranierз in movimento, potremo cambiare veramente le cose.

I fondi italiani per il controllo delle migrazioni perseguono finalità illecite?

Di cosa si parla

Nel corso degli ultimi annci, sia il governo italiano (tramite il Ministero dell’interno e il Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale) sia la Commissione Europea hanno stanziato ingenti somme di denaro da destinare ai paesi di origine e di transito dellз cittadinз stranierз che raggiungono i Paesi Membri. 

In un primissimo periodo (intorno al 2016-2018 quando sono stati implementati il Fondo Africa e il Fondo Fiduciario Europe di Emergenza per l’Africa – EUTFA) la narrazione si è concentrata intorno al fatto che tali risorse, destinate a progetti di sviluppo, avrebbero portato a una diminuzione della migrazione e a una maggiore collaborazione dei governi nelle politiche di riammissione. 

Successivamente, i governi hanno iniziato a parlare sempre più apertamente e quindi ad approvare senza remore progetti e finanziamenti che vanno da un lato a strutturare e rafforzare i controlli alle frontiere per impedire il movimento (si pensi alla Libia, al Niger, alla Tunisia, al Sudan) oppure a vincolare i finanziamenti alla collaborazione per il rimpatrio dellз cittadinз stranierз irregolari (si pensi al fondo di premialità per il rimpatrio)

In tale contesto ci siamo chiestз  se tali fondi siano legittimamente disposti ossia se perseguano fini legittimi nel nostro ordinamento. 

È legittimo rafforzare la guardia costiera Libica per intercettare le persone in mare? 

È legittimo fornire strumentazione e formazione alle guardie di polizia gambiane e senegalese in modo da impedire la partenza dellз cittadinз che vogliono lasciare il paese? 

È giustificabile condizionare progetti per lo sviluppo alla cooperazione in materia di rimpatrio? 

Cosa è stato fatto

Al fine di rispondere a queste domande, abbiamo intrapreso un lavoro di mappatura e analisi dei finanziamenti per il controllo delle frontiere disposti dal governo italiano ad autorità estere, al fine di venire a conoscenza del contenuto dei progetti finanziati e  presentare contenzioso laddove il fondo fosse speso per fini non compatibili con il nostro ordinamento.

Lo strumento che abbiamo utilizzato è stato quello dell’accesso civico, attraverso il quale è stato possibile conoscere da una parte i contenuti dell’attività della pubblica amministrazione, e dall’altra sviluppare sulla base delle informazioni e dei documenti raccolti contenziosi strategici per tentare di modificare le linee di intervento. A volte abbiamo ottenuto queste informazioni, altre volte abbiamo dovuto fare ricorso al giudice amministrativo.

In un caso, abbiamo  impugnato un decreto di spesa con il quale il Ministero degli Affari Esteri ha impegnato delle risorse pubbliche per dotare la Guardia Costiera Libica di 4 motovedette utilizzate per intercettare lз migranti in mare e portarlз nei centri di detenzione libica. Il Consiglio di Stato in quella occasione ha ritenuto che la spesa fosse compatibile con i principi dell’ordinamento italiano, in particolare perché ONG e organizzazioni internazionali stavamo implementando progetti di miglioramento delle condizioni dei centri di detenzione. 

Pertanto, vorremmo sperimentare ulteriormente attività di  contenzioso per mettere in discussione la legittimità dei fondi quando questi vanno a incentivare pratiche di respingimento, di limitazione della libertà di movimento e di accesso al diritto di asilo. 

Cosa si può fare

Crediamo che la prima strategia sia monitorare. Condividere articoli di stampa, notizie su progetti e finanziamenti. Chiedere come singoli ed associazioni che vengano pubblicate tutte le informazioni riguardanti le modalità di spesa delle risorse pubbliche.

Lз parlamentari potrebbero richiedere ai ministeri dell’Interno e degli esteri  di rendere sempre pubblici tutti i decreti di spesa di modo da permettere un controllo continuo da parte dellз cittadinз di come le risorse pubbliche sono spese nell’ambito delle politiche di controllo della migrazione e delle frontiere.

Oggi c’è un rinnovato interesse agli accordi e alle intese di riammissione con i paesi terzi in quanto a seguito della riforma dell’ art. 14 c. 5 D.Lgs 286/98 si prevede che possa essere esteso il tempo di trattenimento per ulteriori 30 giorni dellз cittadini stranierз irregolari nei centri per il rimpatrio se tra l’Italia e i loro paesi di origine vi è un accordo di riammissione.

Da ciò derivano due conseguenze. Da un lato se il Ministero dell’Interno sostiene che siamo di fronte ad una intesa di polizia, questa non può essere posta alla base di una richiesta di proroga del trattenimento, dall’altro se viene richiesta e disposta una proroga del trattenimento allora vi è un accordo e l’accordo deve essere pubblico anche per verificare il suo contenuto.

Alla luce di quanto detto, riteniamo che  avvocat3 operator3  legali possano chiedere la pubblicazione degli accordi di riammissione tramite richieste di accesso agli atti e accesso civico ed inoltre che gli avvocat3 richiedano allз giudice di pace di ordinare l’ostensione degli accordi prima di decidere sulla proroga del trattenimento.

Conoscere il contenuto degli accordi permetterebbe anche di impugnare la loro legittimità in caso di disposizioni che ledono i diritti dellз cittadinз stranierз. 

Lз parlamentari hanno un ruolo decisivo in questo percorso di trasparenza. Dovrebbero infatti richiedere la pubblicazione e relazioni sul contenuto delle intese di riammissione ogniqualvolta queste siano sottoscritte per richiamare il ministero dell’Interno e degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale ai loro obblighi di trasparenza e controllo.

Cosa è stato fatto

ASGI ha presentato un esposto alla Procura presso la Corte dei Conti di Roma segnalando numerose criticità relative agli interventi realizzate da alcune ONG italiane in Libia con fondi dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ed ha pubblicato un rapporto sui profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.

Cos’altro si può fare

Oltre a contestare la legittimità dell’utilizzo dei fondi nei centri di detenzione in Libia quello che si vuole fare è provare a richiedere il risarcimento del danno per le condizioni sofferte dallз cittadinз stranierз nei centri di detenzione in Libia. 

In particolare se lз cittadinз stranierз sono passati nei seguenti centri di accoglienza è teoricamente possibile promuovere contenzioso nei confronti dello stato italiano perchè qui sono stati attivi progetti finanziati da AICS

  • Tarek al Sika
  • Tarek al Matar
  • Tajoura
  • Qasr bin Gashir 
  • Al Nasr (Zawiya)
  • Khoms 
  • Al-Sabaa
  • Dar el Jabal (Zintan)
  • Sabratha 
  • Zwara/Zuwara

Operator3 e avvocat3 possono quindi raccogliere informazioni, segnalare a questo progetto o strutturare contenzioso per chi ha subito trattamenti degradanti in questi centri. 

Lз parlamentari dovrebbero chiedere al governo e al ministero degli affari esteri di relazionare su come i fondi sono spesi nei centri di detenzione ed in libia, sui meccanismi di monitoraggio e sulle garanzie richieste.

I contributi di React, diritti in pratica

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#5 React: Risarcimento per detenzione e trattamenti degradanti nei centri di detenzione in Libia. È possibile?

Pubblichiamo il quinto contributo della serie di spunti operativi di pratiche e contenzioso strategico per reagire contro le illegittimità e le violazioni dei diritti dellз cittadinз stranierз in fuga dai loro paesi di origine o di transito. 

Con React – il Diritto in pratica vogliamo descrivere in modo sintetico ma completo come abbiamo deciso di affrontare i casi di respingimento in mare, di rimpatri “volontari” dalla Libia dellз rifugiatз, della cooperazione italiana nelle violazioni delle autorità libiche, delle restrizioni della libertà di movimento e di asilo dellз cittadinз stranierз, del monitoraggio dei fondi pubblici nei paesi di transito e del loro possibile sviamento. 

Questo è un invito a leggere e replicare queste azioni.

Per un motivo principale: se aumenta la consapevolezza rispetto alle violazioni e alle possibili soluzioni e se in tantз agiamo in modo coordinato per chiedere il rispetto dei diritti dellз cittadinз stranierз in movimento, potremo cambiare veramente le cose.

Di cosa si parla

Con il memorandum Italia-Libia del febbraio 2017 lo Stato italiano ha assunto precisi impegni sul piano internazionale nei confronti del governo di Tripoli in relazione alla gestione dei flussi migratori. Tra le altre cose, il governo italiano si è impegnato ad “adeguare e finanziare” centri di detenzione libici per migranti irregolari, nonché a formare il personale libico che vi opera.

Così, nel 2017 l’Aics ha stanziato 6 milioni di euro per interventi all’interno di centri di detenzione per migranti in Libia, suddividendo l’importo in tre Bandi rivolti a Ong italiane, da attuarsi attraverso implementing partner libici.

Già all’epoca era di dominio pubblico che i centri libici sono luoghi i cui gestori spesso perpetrano gravissimi abusi a danno dei detenuti, ampiamente documentati da una pluralità di osservatori internazionali.

A maggio 2020, il Tribunale di Messina ha condannato a lunghe pene detentive tre guardie del centro di Zawiya, teatro di uno dei progetti dell’Aics, del valore di un milione di euro, per gravissime violenze commesse all’interno del centro, gestito dal clan al Nasr a cui afferisce il noto trafficante Abdurahman al Milad detto “Bija”

Nei Bandi in esame, l’Aics riconosce inoltre apertamente che il governo di Tripoli sembra avere un controllo meramente nominale su molti dei centri, che sono di fatto gestiti da milizie locali. 

Nonostante ciò AICS non ha predisposto fino a pochi mesi fa un controllo sull’utilizzo di fondi, si è accontentata di rapporti sulle spese generiche, non ha effettuato alcuna valutazione concreta sulle condizioni dei centri in cui tali risorse erano destinati. 

Non è escluso che tali risorse abbiano contribuito a rafforzare o sostenere la struttura detentiva libica all’interno della quale sono perpetrati i crimini che conosciamo in danno dei cittadini stranieri. 

Cosa è stato fatto

ASGI ha presentato un esposto alla Procura presso la Corte dei Conti di Roma segnalando numerose criticità relative agli interventi realizzate da alcune ONG italiane in Libia con fondi dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ed ha pubblicato un rapporto sui profili critici delle attività delle ONG italiane nei centri di detenzione in Libia con fondi A.I.C.S.

Cos’altro si può fare

Oltre a contestare la legittimità dell’utilizzo dei fondi nei centri di detenzione in Libia quello che si vuole fare è provare a richiedere il risarcimento del danno per le condizioni sofferte dai cittadini stranieri nei centri di detenzione in Libia. 

In particolare se i cittadini stranieri sono passati nei seguenti centri di accoglienza è teoricamente possibile promuovere contenzioso nei confronti dello stato italiano perchè qui sono stati attivi progetti finanziati da AICS

  • Tarek al Sika
  • Tarek al Matar
  • Tajoura
  • Qasr bin Gashir 
  • Al Nasr (Zawiya)
  • Khoms 
  • Al-Sabaa
  • Dar el Jabal (Zintan)
  • Sabratha 
  • Zwara/Zuwara

Operator3 e avvocat3 possono quindi raccogliere informazioni, segnalare a questo progetto o strutturare contenzioso per chi ha subito trattamenti degradanti in questi centri. 

I parlamentari dovrebbero chiedere al governo e al ministero degli affari esteri di relazionare su come i fondi sono spesi nei centri di detenzione ed in libia, sui meccanismi di monitoraggio e sulle garanzie richieste.

I contributi di React, diritti in pratica

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#3 React, Diritti in pratica – Respingimenti in mare: come e quando richiedere il risarcimento

Continua con questo terzo contributo la serie di spunti operativi di pratiche e contenzioso strategico per reagire contro le illegittimità e le violazioni dei diritti dellз cittadinз stranierз in fuga dai loro paesi di origine o di transito. 

Con React – il Diritto in pratica vogliamo descrivere in modo sintetico ma completo come abbiamo deciso di affrontare i casi di respingimento in mare, di rimpatri “volontari” dalla Libia dellз rifugiatз, della cooperazione italiana nelle violazioni delle autorità libiche, delle restrizioni della libertà di movimento e di asilo dellз cittadinз stranierз, del monitoraggio dei fondi pubblici nei paesi di transito e del loro possibile sviamento. 

Questo è un invito a leggere e replicare queste azioni.

Per un motivo principale: se aumenta la consapevolezza rispetto alle violazioni e alle possibili soluzioni e se in tantз agiamo in modo coordinato per chiedere il rispetto dei diritti dellз cittadinз stranierз in movimento, potremo cambiare veramente le cose.

I respingimenti in mare: la richiesta di risarcimento del danno per i respingimenti in Libia operati da navi italiane o coordinati dall’Italia ed altre azioni collegate.

Di cosa si parla

Da anni il governo italiano si è reso responsabile di respingimenti di rifugiatз, richiedentз asilo e cittadinз stranierз che cercano di lasciare la Libia per raggiungere le coste europee.

Il comportamento delle autorità italiane si è modificato nel corso degli anni ed è stato necessario individuare sempre nuove strategie giuridiche al fine di individuare le responsabilità del governo ed ottenere delle condanne.

Infatti, negli anni 2008-2009, era la marina militare italiana che, dopo aver intercettato e recuperato le persone in fuga dalla Libia, le riconsegnava alle autorità libiche invece di prendere in considerazione le loro domande di asilo e riportarle in Italia. Queste condotte di respingimento sono state condannate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Hirsi Jamaa e altri contro Italia nel 2012 e successivamente sono stati riconosciuti risarcimenti del danno alle vittime da parte del Tribunale Civile di Roma e della Corte di Appello di Roma.

In seguito al Memorandum Italia – Libia del 2 febbraio 2017, invece che entrare in contatto con i migranti, il governo italiano tramite i ministeri dell’interno, della difesa, dei Trasporti e delle Infrastrutture ha fornito supporto tecnologico, logistico alle autorità libiche ed in particolare alla Guardia Costiera Libica affinché possa intercettare le imbarcazioni in fuga dalla Libia, recuperare le persone e riportarle nei centri di detenzione.

Il governo italiano ha delegato i respingimenti – senza esimersi dalle sua responsabilità – coordinando i soccorsi, strutturando la guardia costiera libica, dando legittimità politica al governo libico.

In tale contesto si sono sviluppate azioni per far dichiarare la illegittimità della condotta italiana (e si vedrà poi anche di Frontex) per i respingimenti in Libia e per far riconoscere alle vittime il diritto al risarcimento del danno.

Cosa è stato fatto

  1. Richiesta di risarcimento del danno per il respingimento di 5 cittadinз eritreз in Libia effettuato dalla nave Asso 29 della compagnia Augusta Offshore con il coordinamento delle autorità italiane. Il 2 luglio del 2018 le autorità italiane hanno richiesto e coordinato l’intervento della “Asso Ventinove” nelle operazioni di soccorso avviate da una vedetta libica. In particolare, le navi Caprera e Duilio della Marina Italiana, di stanza a Tripoli, hanno chiesto alla Asso Ventinove di prendere a bordo 150 persone in fuga dalla Libia e provenienti da Eritrea, Etiopia e Sudan. La nave ha ricondotto le persone a Tripoli e le ha consegnate alle autorità libiche. Lз cittadinз in fuga sono così statз nuovamente detenutз illegalmente e sottopostз ad abusi e torture. La causa è pendente di fronte al tribunale civile di Roma.
  1. Ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo per il respingimento in Libia di rifugiatз coordinato dall’Italia. Il 6 Novembre 2017 il Centro di Coordinamento Marittimo (MRCC) della Guardia Costiera italiana ha coordinato l’intercettazione delз migranti da parte di una motovedetta libica, donata dal governo italiano alcuni mesi prima alla Libia.
    Alcunз cittadinз sono statз recuperatз dalla ONG Sea-Watch, altrз sono statз riportatз in Libia e rinchiusз in condizioni disumane, subendo percosse, estorsioni, fame e stupri, accettando in alcuni casi il rimpatrio volontario. Il procedimento è pendente.

Sono in corso di studio e presentazione le seguenti cause:

  • Richiesta di risarcimento del danno per i respingimenti effettuati dalla Guardia Costiera Libica coordinati dalla nave della marina militare a Tripoli. Nell’ambito delle missioni militari all’estero, il governo italiano tramite il Ministero della difesa ha una nave militare a Tripoli che svolge funzioni sia di sostegno logistico alla Guardia Costiera libica per la rimessa in efficienza delle motovedette in caso di guasti, sia di coordinamento pratico delle operazioni di soccorso. Invero, vi sono numerose prove del fatto che le richieste di aiuto e le istruzioni di soccorso vengono ricevute e diramate proprio dalla nave italiana.

  • Richiesta di risarcimento del danno e la richiesta di interruzione delle operazioni per i respingimenti effettuato dalla Guardia Costiera libica con il sostegno di Frontex. Frontex ricopre un ruolo sempre più determinante nei respingimenti operati dalle autorità libiche con varie attività che agevolano l’intercettazione e il soccorso dei cittadini in fuga, tra questi il coordinamento delle operazioni, l’indicazione del gommone in difficoltà alle motovedette libiche ecc.

  • Richiesta di risarcimento del danno ed inibitoria in caso di inerzia. Sempre più spesso accade che il centro di coordinamento di soccorsi italiano, ricevuta una chiamata di soccorso la dirama al centro di coordinamento libico e maltese senza assicurarsi del buon esito delle operazioni di soccorso. Sono numerosi i casi di naufragi e di navi alla deriva anche per vari giorni senza l’invio di alcuna nave italiana, senza che sia indirizzata una nave mercantile ecc.

Cos’altro si può fare?

Questi ricorsi possono essere presentati soprattutto da cittadini stranieri che si trovano sul territorio europeo, che godono di una posizione giuridica stabile e che condividono la portata politica e strategica di questa azione.

Quasi la totalità dei richiedenti asilo presenti in Italia e negli altri Paesi dell’Unione Europea sono state vittime di respingimento ed in molti casi è possibile individuare una responsabilità diretta italiana o di Frontex.

Avvocatə, operatorə legali, altre figure professionali che sono in contatto con persone che sono stati respinti in Libia a seguito del tentativo di raggiungere le coste europee – sia dalle autorità italiane sia dalle autorità libiche – possono mettersi in contatto con noi così da poter raccogliere le informazioni sul respingimento e fornire spunti per la presentazione e la moltiplicazione di queste azioni.


Quest’azione rientra nell’ambito del progetto Sciabaca&Oruka promosso dall’ASGI per contrastare le politiche che limitano illegittimamente la libertà di movimento e il diritto di asilo.

Contatti : sciabacaoruka@asgi.it

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Memorandum Italia–Libia: 40 organizzazioni in piazza il 26 ottobre a Roma contro il rinnovo degli accordi

Quaranta organizzazioni rinnoveranno la richiesta al Governo italiano in una manifestazione e con una conferenza stampa il 26 ottobre a Roma.


Ore 14.30 Conferenza stampa presso Hotel Nazionale, Piazza di Monte Citorio 131

Ore 17.30 Manifestazione in piazza dell’Esquilino  


Le conseguenze del Memorandum sulle persone trattenute in Libia tra abusi, sfruttamento, detenzione arbitraria e torture e fare luce sulla gestione dei fondi europei che finanziano la Guardia costiera libica. Sono i principali temi della conferenza stampa, organizzata da 40 organizzazioni, il prossimo mercoledì 26 ottobre a Roma, alle ore 14.30 presso la Sala Cristallo dell’hotel Nazionale in Piazza di Monte Citorio 131, per chiedere all’Italia e all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e non rinnovare gli accordi con la Libia.

Dopo la conferenza stampa, le organizzazioni invitano la società civile a scendere in piazza durante la manifestazione organizzata alle 17,30 in Piazza dell’Esquilino. 

100.000 persone respinte in Libia in 5 anni, #NONSONODACCORDO 

Se entro il 2 novembre il governo italiano non deciderà per la sua revoca, il Memorandum Italia–Libia verrà automaticamente rinnovato per altri 3 anni. Si tratta di un accordo che da ormai 5 anni ha conseguenze drammatiche sulla vita di migliaia di donne, uomini e bambini migranti e rifugiati. Dal 2017 ad ottobre 2022 quasi 100.000 persone sono state intercettate in mare dalla guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. Le organizzazioni chiedono al governo italiano di riconoscere le proprie responsabilità e di non rinnovare gli accordi con la Libia. 

Perché questa manifestazione

Cinque anni. Questo il periodo di operatività del Memorandum Italia-Libia, l’accordo con cui i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo si impegnano ufficialmente  in “processi di cooperazione, contrasto all’immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere”. Quanto previsto contrasta tuttavia con la realtà. Le ricadute sulla vita di uomini, donne, bambine e bambini migranti sono infatti tra le conseguenze più drammatiche di un patto che è evidentemente illegittimo. Dal 2017 all’11 ottobre 2022 quasi centomila[1] bambini, donne e uomini sono stati intercettati in mare dai guardia coste libici, e riportate in un Paese che non può essere considerato sicuro. Essere una persona migrante in Libia significa infatti essere costantemente a rischio: di essere arrestato, detenuto, abusato, picchiato, sfruttato. Significa vedersi spogliati di ogni diritto e non ricevere alcuna tutela. 

Il Memorandum non si limita a prospettare cooperazione e progettualità generiche. L’accordo prevede infatti il sostegno alla cosiddetta Guardia Costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento: continuare a supportarla significa non solo contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione – ufficialmente definiti di accoglienza – dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, vengono abusate e uccise.

Tutto ciò si inserisce in un quadro politico particolarmente instabile, in cui le violenze contro la popolazione crescono di anno in anno, così come gli sfollati, e dove innumerevoli testimonianze e rapporti di organismi internazionali confermano la commistione delle autorità libiche con le milizie, e il loro coinvolgimento nel sistema di detenzione arbitraria, sfruttamento, abuso e tortura sistemica di migranti e richiedenti asilo.  In questo scenario è sempre più difficile tracciare i fondi e i mezzi inviati grazie al Memorandum, cosa che aumenta il rischio che gli stessi vengano utilizzati nel conflitto interno. E’ inoltre pressoché impossibile fornire una protezione significativa alle persone vulnerabili. Le opzioni sicure e legali per lasciare il Paese sono limitate sia nell’accesso sia nei numeri, tanto che sono molte le persone che decidono di intraprendere un viaggio di ritorno via terra – in particolare lavoratori stagionali provenienti dai paesi vicini – correndo rischi simili a quelli già affrontati per raggiungere la  Libia. Molti altri invece provano ad  attraversare il Mediterraneo pagando somme messe da parte con lavori svolti spesso in condizioni disumane, e affrontando viaggi pericolosi, in cui la probabilità di annegare è alta quanto quella di essere intercettati e respinti dai guardia coste libici.  

Nonostante tutto questo, l’Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerare la Libia un Paese con cui poter stringere accordi, all’interno di un complesso sistema basato sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere, che delega ai Paesi di origine e transito

la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e degli Stati membri. Dal 2017 i guardia coste libici  hanno ricevuto oltre 100 milioni in formazione e equipaggiamenti (57,2 milioni dal Fondo fiduciario per l’Africa e 45 milioni solo attraverso la missione militare italiana dedicata). Soldi pubblici e risorse destinate alla cooperazione e allo sviluppo, impiegate invece per il rafforzamento delle frontiere, senza alcuna salvaguardia dei diritti umani, né alcun meccanismo di monitoraggio e revisione richiesto dalle norme finanziarie dell’UE.  

Il Memorandum Italia – Libia non sta ponendo un argine alle violazioni dei diritti delle persone migranti, al contrario crea proprio le condizioni per il loro proseguimento, agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura perpetrate in maniera sistematica e tali da costituire crimini contro l’umanità, così come definito dalla Missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite. Nonostante il Memorandum preveda all’art. 2 il “sostegno alle organizzazioni internazionali presenti e che operano in Libia a perseguire gli sforzi mirati anche al rientro dei migranti nei paesi di origine, compreso il rientro volontario”, l’effettiva capacità di queste ultime di tutelare le persone migranti e richiedenti asilo in tale situazione è estremamente limitata e dipendente dalle scelte delle autorità libiche.

Ciò dimostra, insieme alla situazione di insicurezza e instabilità del paese nordafricano e alle innumerevoli testimonianze degli abusi da parte di cittadini stranieri in Libia, la completa e totale irriformabilità del sistema Memorandum ed in generale di blocco delle partenze dalla Libia. Sussiste infatti, come dimostrato, un’impossibilità strutturale di apportare qualsiasi forma di miglioramento delle condizioni di vita delle persone migranti in Libia, a cui si aggiunge un inadeguato accesso dei richiedenti asilo e rifugiati alla protezione internazionale.  

Per tutte queste ragioni le persone migranti presenti in Libia e quelle che, in considerazione dei traumi vissuti, possono essere definite superstiti chiedono che sia loro riconosciuta dignità umana oltre che un pieno protagonismo politico e, insieme a tutti coloro i quali si richiamano alla cultura giuridica europea, sollecitano l’Italia e l’Europa a riconoscere le proprie responsabilità e a non rinnovare gli accordi con la Libia.


[1] Circa 99630 persone, nostra elaborazione di dati UNHCR/OCHA (https://reliefweb.int/)

Programma

Per accrediti per la conferenza stampa scrivere a: ufficio.stampa@rome.msf.org


A seguire ci troveremo in Piazza Esquilino per dire no agli accordi con la Libia.

Le organizzazioni firmatarie

A Buon Diritto, ACAT Italia, ACLI, ActionAid, Agenzia Habeshia, Alarm Phone, Amnesty International Italia, AOI, ARCI, ASGI, Centro Astalli, CGIL, CIES, CINI, CNCA, Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos, Comunità Papa Giovanni XXIII, CoNNGI, FCEI, Focus Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Emergency, EuroMed Rights, Europasilo, Intersos, Mani Rosse Antirazziste, Medici del Mondo Italia, Mediterranea , Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Open Arms, Oxfam Italia, Refugees Welcome Italia, ResQ – People Saving People, Save the Children, Sea-Watch, Senza Confine, SIMM, UIL, UNIRE (Unione Nazionale Italiana dei Rifugiati ed Esuli) .

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#1 React – Diritti in pratica – Come reagire ai rimpatri di persone vulnerabili dalla Libia

titolo

Inizia con questo contributo la pubblicazione di una serie di spunti operativi di pratiche e contenzioso strategico per reagire contro le illegittimità e le violazioni dei diritti dei cittadini stranieri in fuga dai loro paesi di origine o di transito. 

Con React – il Diritto in pratica vogliamo descrivere in modo sintetico ma completo come abbiamo deciso di affrontare i casi di respingimento in mare, di rimpatri “volontari” dalla Libia dei rifugiati, della cooperazione italiana nelle violazioni delle autorità libiche, delle restrizioni della libertà di movimento e di asilo dei cittadini stranieri, del monitoraggio dei fondi pubblici nei paesi di transito e del loro possibile sviamento. 

Questo è un invito a leggere e replicare queste azioni.

Per un motivo principale: se siamo in tanti a capire che ci sono violazioni e aumenta la consapevolezza della nostra società, se in tanti agiamo in modo coordinato per chiedere il rispetto dei diritti dei cittadini stranieri in movimento, potremo cambiare veramente le cose.

Rimpatri di persone sottoposte a tratta, minori e rifugiati dalla Libia: le violazioni del principio di non-refoulement nei rimpatri cd. volontari assistiti

Di cosa si parla

Le persone straniere vulnerabili, come le persone sottoposte a tratta, i minori non accompagnati, i richiedenti asilo presenti in paesi di transito quali Libia, il Niger, la Tunisia vengono rimpatriate nei loro Paesi di origine sulla base di programmi di rimpatrio volontario assistito generalmente implementati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) e parte delle politiche di esternalizzazione dei Governi europei.

Diversi organi delle Nazioni Unite si sono espressi per criticare questi programmi che interessano le persone migranti a partire dai Paesi di transito dove si riscontrano:

– l’assenza di alternative per regolarizzare la propria posizione nel paese,

– la sottoposizione a regimi detentivi prolungati e/o arbitrari,

– le condizioni di vita degradanti.

Tutto questo può determinare l’impossibilità per le persone migranti di esprimere in modo libero la propria volontà ad essere rimpatriati . Tuttavia, in determinati contesti, in primo luogo in quello libico, il rimpatrio cd. volontario diventa l’unica alternativa alla detenzione e a condizioni di sfruttamento e violenza indiscriminata.

Tra le persone che in Libia sono maggiormente sottoposte a tale dinamica, vi sono le donne sottoposte a tratta provenienti dalla Nigeria. I programmi di evacuazione e protezione attivi in Libia sono infatti riservati alle persone appartenenti a nove nazionalità, tra cui non è presente quella nigeriana. A fronte delle forti limitazioni imposte all’uscita dal paese grazie alla cooperazione e all’equipaggiamento della cd. Guardia costiera libica da parte dei paesi europei e dall’Italia, per le donne nigeriane sottoposte a tratta l’unico modo per uscire dal paese e sottrarsi quindi agli abusi è il ricorso al rimpatrio cd. volontario assistito. In questo modo sono tuttavia esposte al rischio di essere nuovamente trafficate. A simili rischi in caso di rientro nel proprio paese di origine sono sottoposti i minori che intraprendono da soli il viaggio.

Per maggiori informazioni sulle criticità dei rimpatri volontari delle donne sottoposte a tratta e sull’espansione dell’uso del rimpatrio volontario:

Cosa è stato fatto

Nel dicembre del 2021 sono state presentate, in collaborazione con il NULAI, due comunicazioni individuali al Comitato per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne delle Nazioni Unite (CEDAW).

Le comunicazioni riguardavano due donne nigeriane che sono state sottoposte a tratta e schiavitù in Libia e successivamente rimpatriate in Nigeria dove hanno intrapreso programmi di “reintegrazione” estremamente carenti, insufficienti da un punto di vista economico per tutelarle dal rischio di refoulement e che non prevedevano alcun sostegno di tipo medico o psicologico a fronte delle violenze e delle torture subite in Libia. Il ritorno, secondo le ricorrenti, è stato quindi effettuato senza un’adeguata valutazione del rischio di refoulement. Il ricorso è stato proposto contro la Libia e l’Italia, la seconda in particolare in quanto le politiche di blocco italiane hanno impedito la fuga dal paese e determinato la detenzione delle ricorrenti, che, a seguito delle intercettazioni operate dalla cd. Guardia costiera libica in mare, sono state reimmesse in dinamiche di detenzione, compravendita e sfruttamento da parte di attori privati e statali.  Inoltre, il finanziamento italiano ad OIM è stato erogato sebbene l’Organizzazione non abbia fornito adeguate garanzie sulla protezione delle persone rifugiate e ha di fatto permesso il rimpatrio delle stesse. Il ricorso è stato sostenuto dal parere legale redatto dalla International Protection of Human Rights del Dipartimento di giurisprudenza dell’Università Roma 3.  

Cos’altro si può fare?

ASGI sta preparando una comunicazione individuale al Comitato ONU dei fanciulli contro l’Italia per la detenzione in Libia ed il rimpatrio volontario nel paese di origine di minori stranieri non accompagnati e/o vittime di tratta.

Il ricorso seguirà l’impostazione utilizzata per le comunicazioni presentate al CEDAW, ripercorrendo le responsabilità italiane in relazione al blocco delle partenze dalla Libia e al finanziamento in assenza di adeguate garanzie dei programmi di rimpatrio cd. volontario assistito effettuati da OIM.

Avvocatə, operatorə legali, altre figure professionali che sono in contatto con persone che hanno vissuto tali esperienze, possono valutare, insieme alle persone migranti, la possibilità di presentare questo genere di comunicazione per ampliarne la portata e rafforzarne gli effetti.

Entrambi i ricorsi possono essere infatti proposti anche per vittime di tratta o minori che siano stati detenuti e/o ridotti in schiavitù in Libia i quali siano poi giunti in Italia.

In caso di arrivo in Italia, le comunicazioni si concentrerebbero sulle violazioni sofferte dalle persone migranti a causa dell’impossibilità di lasciare il paese a causa dell’aumentata capacità delle forze di sicurezza libiche di intercettare le imbarcazioni e di bloccare le partenze grazie ai finanziamenti italiani. 

Cosa vogliamo ottenere

La moltiplicazione di questi ricorsi renderebbe evidente la sistematicità delle violazioni portate all’attenzione dei Comitati ONU, rafforzando anche la consapevolezza della società civile nazionale e internazionale in relazione alle criticità delle politiche di blocco della mobilità e dei programmi di rimpatrio cd. volontario.


Quest’azione rientra nel progetto Sciabaca&Oruka promosso dall’ASGI per contrastare le politiche che limitano illegittimamente la libertà di movimento e il diritto di asilo.

Contatti : sciabacaoruka@asgi.it

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È stato attivato un sistema di monitoraggio per i progetti AICS nei centri di detenzione in Libia?

Puzzle

Tramite un accesso civico diversi soci e socie ASGI hanno interrogato l’Agenzia sul monitoraggio effettuato nell’ambito dei progetti promossi tra il 2017 e il 2019 nei centri di detenzione in Libia. 

Il 15 novembre 2021 ASGI aveva posto cinque domande all’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS) per fare chiarezza sui meccanismi di monitoraggio dei progetti finanziati dall’Agenzia in Libia. 

Vista la mancanza di personale italiano sul campo, in linea con quanto richiesto dai bandi, e vista la presenza di milizie e reti criminali nel tessuto socio amministrativo libico responsabili di gravissime e documentate violazioni, ci si interrogava infatti sulle precauzioni adottate da AICS per scongiurare da una parte lo sviamento dei fondi per altre finalità e dall’altra la potenziale connivenza – seppur non voluta – in azioni illecite.  

AICS ha dato riscontro confermando la presenza di un meccanismo di supervisione sperimentato dall’Agenzia sui progetti in Libia tramite un monitoraggio da parte di terzi (Third Party Monitoring TPM) che verifica la corretta implementazione del progetto, anche attraverso visite sul campo e interviste con beneficiari e stakeholders.

Tuttavia, il quadro è diventato più chiaro e molto più preoccupante in seguito all’accesso civico presentato da soci e socie ASGI. L’agenzia è stata interrogata ed è stato richiesto l’accesso ai rapporti di monitoraggio effettuati nell’ambito dei progetti promossi da AICS tra il 2017 e il 2019 nei centri di detenzione in Libia. La risposta dell’Agenzia è che non sono mai stati attivati i meccanismi di monitoraggio indipendente da parte di terzi per iniziative nei centri di detenzioni.

La mancanza di strumenti di monitoraggio a garanzia dell’uso efficiente e non lesivo dei fondi pubblici italiani nelle iniziative AICS all’interno dei centri di detenzione è al centro di un rapporto sui profili giuridici di criticità insiti nella programmazione e successiva implementazione di tali iniziative, pubblicato nel luglio 2020 e seguito da un esposto alla Corte dei Conti

La risposta dell’Agenzia, è estremamente preoccupante, e aggrava il quadro già controverso di potenziale utilizzo illegittimo delle risorse pubbliche delineato da ASGI e presentato alla Corte dei Conti. 

Nonostante i centri libici siano universalmente ormai riconosciuti come luoghi di tortura e mortificazione della dignità umana, il governo italiano sembra non aver condizionato l’attuazione degli interventi ad alcun impegno nell’assicurare il corretto impiego del denaro pubblico, e su quanto effettivamente attuato dagli implementing partner libici sul campo.

Tutto gli articoli sull’argomento:

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Giornalista ricorre alla CEDU: conoscere come sono utilizzati i fondi pubblici in Libia è un diritto

Dopo il rigetto del Ministero dell’Interno, del TAR Lazio o del Consiglio di Stato, Sara Creta, giornalista freelance, iscritta alla Federazione internazionale dei giornalisti, supportata da avvocate.i ASGI, presenta un ricorso alla Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU) per far valere l’art 10 della Convenzione EDU

Nell’ottobre del 2020, la giornalista aveva presentato una richiesta di accesso civico al Ministero dell’Interno con l’obiettivo di conoscere come vengono utilizzate le risorse impiegate in Libia nell’ambito del programma “Support to Integrated Border and Migration Management – first phase” (SIBMMIL) implementato dal Ministero dell’Interno italiano.

Si tratta di un finanziamento di 46 milioni di euro – circa 42 dei quali provenienti dal Fondo Fiduciario Europeo d’Emergenza per l’Africa – destinati a rafforzare le capacità operative delle autorità libiche nelle attività di gestioni dei confini terrestri e marittimi. Offrendo assistenza materiale, tecnica e politica alle autorità libiche, il programma facilita l’intercettazione di persone migranti e rifugiate nel Mediterraneo Centrale e il loro ritorno nelle crudeli e disumane condizioni di tortura e schiavitù nei centri di detenzione del paese nordafricano.

Malgrado il chiaro interesse pubblico della società ad avere informazioni sull’utilizzo dei fondi pubblici in Libia specialmente alla luce delle gravi ricadute sui diritti delle persone, il Ministero, il TAR Lazio e il Consiglio di Stato hanno comunque rigettato la richiesta della giornalista: la pubblicazione dei documenti rappresenterebbe un rischio per le relazioni internazionali e la sicurezza pubblica. L’atto di rigetto però, come anche le due sentenze, non esplicitano in cosa tali pericoli possano concretizzarsi.

La dott.ssa Creta – rappresentata dall’avvocata ASGI Luce Bonzano – ha quindi deciso di sottoporre il caso allo scrutinio della CEDU, lamentando una violazione al proprio diritto alla libertà di espressione, come sancito dall’art 10 della Convenzione EDU «Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera».

Il rifiuto all’ostensione  rappresenta  infatti per la dott.ssa Creta un’interferenza con l’esercizio del suo diritto di cronaca, impedendole di fornire informazioni  precise e affidabili e quindi di  esercitare un controllo pubblico (public watchdog), essenziale in ogni società democratica. 

“È fondamentale che i giornalisti dispongano di un accesso non discriminatorio alle informazioni. Da tempo, l’opacità assoluta sulla gestione dei fondi italiani ed europei in Libia è accompagnata da gravi violazioni dei diritti umani. Data l’importanza di questa spesa e le sue implicazioni per la politica estera, non può negarsi il diritto alla conoscenza”
Sara Creta 

“È imprescindibile che la libertà di espressione, e dunque di ricevere e fornire informazioni all’opinione pubblica, venga tutelata, in particolare quando la stessa viene esercitata da soggetti che sono portatori di interessi che riguardano tutta la società civile, come la CEDU ha già avuto modo di sottolineare”
Luce Bonzano

Compito della Corte sarà quindi verificare, alla luce dell’art. 10, le decisioni che le autorità giurisdizionali nazionali hanno adottato e valutare se esse abbiano effettuato un corretto bilanciamento tra i rischi che limitano l’accesso e i diritti corrispondenti a quelli protetti dalla Convenzione.

per approfondire: 


Foto di Polina Kovaleva da Pexels

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