Categoria Giurisprudenza civile

Anomalia motivazionale denunciabile in cassazione

Corte di Cassazione, Sez. 6 Civ., ordinanza del 19 giugno 2019 – – – Sentenza – vizio di motivazione –  ricorso per cassazione – a seguito della riformulazione dell’art. 360, co.1, n.5, è “denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”

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 Sentenza – vizio di motivazione – ricorso per cassazione – a seguito della riformulazione dell’art. 360, co.1, n.5, è “denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”

Corte di Cassazione, Sez. 6 Civ., ordinanza n. 16390 del 19 giugno 2019

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“ a seguito della riformulazione dell’art. 360, co.1, n.5, è   «denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e, grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass. Sez. U. 8053/2014);”

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Citofono condominio, ripartizione spese impianto, nullità delibera

Corte di Cassazione, Sez. 2, Civ., ordinanza del 31 luglio 2020 – – – Citofono condominio, ripartizione spese impianto, nullità delibera – Riparto delle spese condominiali – la ripartizione delle spese condominiali generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123 c.c., comma 1 – le delibere delle assemblee di condominio aventi ad oggetto … sono nulle

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CONDOMINIO
Riparto delle spese condominiali

La ripartizione delle spese condominiali generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123 c.c., comma 1 – le delibere delle assemblee di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, con le quali si deroga – “una tantum” – ai criteri legali di ripartizione delle spese medesime, ove adottate senza il consenso unanime dei condomini, sono nulle.

Corte di Cassazione, Sez. 2, Civ., ordinanza del 31 luglio 2020

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La S.C. chiamata a decidere una questione relativa alla ripartizione delle spese dell’impianto citofonico di un condominio, ha precisato:
“Questa Corte, in argomento, ha di recente affermato che le spese di riparto delle spese condominiali sono legittimamente ripartite in base al valore millesimale delle singole unità immobiliari servite, che ne consente il riparto in proporzione ad esso (Cass. 7 novembre 2016 n. 22573, in relazione ad impianto di riscaldamento). Più in generale, si è detto che le spese comuni devono essere suddivise in misura proporzionale al valore delle singole proprietà, attesa l’insussistenza di una concorde deroga convenzionale al regolamento condominiale, con la conseguente applicazione, nel caso di specie, della generale previsione trasparente dall’art. 1123 c.c., comma 1, (cfr. Cass. n. 2301 del 2001; Cass. n. 17101 del 2006 e Cass. n. 6714 del 2010). In altri termini, le delibere delle assemblee di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, con le quali si deroga – “una tantum” – ai criteri legali di ripartizione delle spese medesime, ove adottate senza il consenso unanime dei condomini, sono nulle. Deve, quindi, riaffermarsi il principio di diritto alla stregua del quale, in mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità, espressione dell’autonomia contrattuale, la ripartizione delle spese condominiali generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati nell’art. 1123 c.c., comma 1, e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire con criterio “capitano” le spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune. Invero, deve ritenersi affetta da nullità (che può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all’assemblea ancorché abbia nella stessa espresso voto favorevole), e quindi sottratta al termine di impugnazione di giorni trenta previsto dall’art. 1137 c.c., la delibera dell’assemblea condominiale con la quale senza il consenso di tutti i condomini si modifichino i criteri legali ex art.1123 c.c. o di regolamento contrattuale di riparto delle spese per la prestazione di servizi nell’interesse comune. Ciò in quanto eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca. Infatti, l’adozione di criteri diversi da quelli previsti dalla legge o dal regolamento contrattuale, incidendo sui diritti individuali dei singoli condomini, può essere assunta soltanto con una convenzione alla quale aderiscano tutti i condomini, non rientrando nelle attribuzioni dell’assemblea che concernono la gestione delle cose comuni. “
“(…) l’assemblea – in mancanza di un accordo unanime dei condomini – non ha il potere di stabilire o modificare i criteri di riparto delle spese in violazione delle prescrizioni stabilite dall’art. 1123 c.c., secondo cui i contributi devono essere corrisposti dai condomini in base alle tabelle millesimalí, atteso che – come si è accennato – tale determinazione non rientra nelle attribuzioni conferite all’assemblea dall’art. 1135 c.c.. In tal senso è il costante orientamento di legittimità …”

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Separazione, spese straordinarie sostenute nell’interesse dei figli

Giudice di Pace di Casoria, sentenza del 15 giugno 2020 – – – Separazione, spese straordinarie sostenute nell’interesse dei figli

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Separazione

Spese straordinarie per il mantenimento dei figli – decreto ingiuntivo – condanna del padre al pagamento delle spese straordinarie sostenute dalla madre collocataria nell’interesse della figlia – opposizione a d.i. – mancata concertazione – accoglimento – revoca decreto ingiuntivo.

Giudice di Pace di Casoria, dott. Raffaele Musella, sentenza del 15 giugno 2020

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Il GdP di Casoria, con argomentazioni attente, rappresentato, tra l’altro, che il coniuge (non collocatario) con decreto ingiuntivo veniva “condannato al pagamento delle spese straordinarie sostenute dalla madre collocataria nell’interesse della figlia”; che il padre proponeva opposizione “eccependo la loro mancata concertazione contrariamente a quanto previsto” dall’accordo di cui alla sentenza di separazione del 2015 emessa dal Tribunale di Napoli, accoglieva l’opposizione con revoca del decreto ingiuntivo.
All’uopo evidenziava: “L’opposta ha sostenuto nell’interesse della figlia spese per l’acquisto di occhiali e per cure dermatologiche ed ortodontiche non urgenti, che pur essendo sfornite di certificazioni mediche che le giustificano –in atti risultano depositate solo le fatture– … il genitore non collocatario avrebbe avuto il diritto di conoscere le patologie che necessitavano della prestazione, di influire sulla scelta del medico, dell’ottico, o della struttura sanitaria cui rivolgersi, di esprimere il suo parere tra le varie eventuali alternative terapeutiche suggerite, o, ancora, di incidere sui tempi chiedendo, ad esempio, un ragionevole differimento in presenza di una momentanea e obiettiva situazione di difficoltà economica; invece egli è stato in un primo momento escluso dalla conoscenza dei fatti e poi esautorato da ogni funzione decisionale , a dispetto di quanto sancito in generale dall’art. 337 ter c.c. e nel caso specifico dalla sentenza di separazione. Ciò comporta la perdita del diritto al rimborso.”
Sul punto va rammentato che la concertazione, prevista dall’art. 337 ter c.c., ha finalità di coinvolgere le figure genitoriali nella vita dei figli su questioni di –“maggiore interesse relative all’istruzione, all’educazione, alla salute “ – essa quale espressione del principio della bigenitorialità, rappresenta la regola nella gestione della prole, con salvezza delle decisioni e delle spese destinate a soddisfarne le ordinarie esigenze di vita quotidiana, che spettano al genitore presso il quale essi si trovano; sulle questioni do maggiore importanza la decisione unilaterale può giustificarsi solo in via eccezionale nei casi di urgenza e di indifferibilità…”

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Leggi testo della sentenza
Separazione. Spese straordinarie sostenute nell’interesse dei figli

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Separazione, spese straordinarie sostenute nell’interesse dei figli

Giudice di Pace di Casoria, sentenza del 15 giugno 2020 – – – Separazione, spese straordinarie sostenute nell’interesse dei figli

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Separazione

Spese straordinarie per il mantenimento dei figli – decreto ingiuntivo – condanna del padre al pagamento delle spese straordinarie sostenute dalla madre collocataria nell’interesse della figlia – opposizione a d.i. – mancata concertazione – accoglimento – revoca decreto ingiuntivo.

Giudice di Pace di Casoria, dott. Raffaele Musella, sentenza del 15 giugno 2020

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Il GdP di Casoria, con argomentazioni attente, rappresentato, tra l’altro, che il coniuge (non collocatario) con decreto ingiuntivo veniva “condannato al pagamento delle spese straordinarie sostenute dalla madre collocataria nell’interesse della figlia”; che il padre proponeva opposizione “eccependo la loro mancata concertazione contrariamente a quanto previsto” dall’accordo di cui alla sentenza di separazione del 2015 emessa dal Tribunale di Napoli, accoglieva l’opposizione con revoca del decreto ingiuntivo.
All’uopo evidenziava: “L’opposta ha sostenuto nell’interesse della figlia spese per l’acquisto di occhiali e per cure dermatologiche ed ortodontiche non urgenti, che pur essendo sfornite di certificazioni mediche che le giustificano –in atti risultano depositate solo le fatture– … il genitore non collocatario avrebbe avuto il diritto di conoscere le patologie che necessitavano della prestazione, di influire sulla scelta del medico, dell’ottico, o della struttura sanitaria cui rivolgersi, di esprimere il suo parere tra le varie eventuali alternative terapeutiche suggerite, o, ancora, di incidere sui tempi chiedendo, ad esempio, un ragionevole differimento in presenza di una momentanea e obiettiva situazione di difficoltà economica; invece egli è stato in un primo momento escluso dalla conoscenza dei fatti e poi esautorato da ogni funzione decisionale , a dispetto di quanto sancito in generale dall’art. 337 ter c.c. e nel caso specifico dalla sentenza di separazione. Ciò comporta la perdita del diritto al rimborso.”
Sul punto va rammentato che la concertazione, prevista dall’art. 337 ter c.c., ha finalità di coinvolgere le figure genitoriali nella vita dei figli su questioni di –“maggiore interesse relative all’istruzione, all’educazione, alla salute “ – essa quale espressione del principio della bigenitorialità, rappresenta la regola nella gestione della prole, con salvezza delle decisioni e delle spese destinate a soddisfarne le ordinarie esigenze di vita quotidiana, che spettano al genitore presso il quale essi si trovano; sulle questioni do maggiore importanza la decisione unilaterale può giustificarsi solo in via eccezionale nei casi di urgenza e di indifferibilità…”

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Separazione. Spese straordinarie sostenute nell’interesse dei figli

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Nullità delibera condominio, modifica criterio ripartizione spese

Tribunale di Napoli, VI Sez. Civ., sentenza del 9 luglio 2020 – – – Condominio. Nullità delibera che modifica criterio legale di ripartizione spese di riparazione del lastrico solare – pluviali, criterio di ripartizione spesa

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Condominio

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Nullità delibera che modifica criterio legale di ripartizione spese di riparazione del lastrico solare – pluviali, criterio di ripartizione spesa

Tribunale di Napoli, VI Sez. Civ., Dott. Maria Teresa Mondo, sentenza del 9 luglio 2020

 

 

Pluviali: si applica il criterio di ripartizione dettato ai sensi dell’ art. 1123 C.C.
Le gronde, i doccioni ed i canali di scarico, che convogliano le acque meteoriche dalla sommità di un edificio condominiale, costituiscono parti comuni, atteso che, svolgendo una funzione necessaria all’uso comune, ricadono tra i beni di cui all’art. 1117 cod. civ., senza che rilevi la circostanza che la copertura del fabbricato, dal quale provengano tali acque, sia costituita da tetto a falda, lastrico o terrazzo di proprietà esclusiva, né trovi applicazione il regime sulle spese stabilito dall’art. 1126 cod. civ., il quale disciplina soltanto le riparazioni o ricostruzioni del lastrico propriamente inteso.

Alla luce di tali principi anche le spese relative a tutte le lavorazioni attinenti il rifacimento delle pluviali ed il convogliamento e lo scarico delle acque meteoriche devono essere ripartite in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi dell’art. 1123 cod. civ.
Ciò vale anche se il terrazzo (o lastrico solare) che copre l’intero edificio è di proprietà esclusiva di un unico condomino.

A tale principio, già espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 27154/14 del 22.12.2014, si è uniformato anche il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 4841/2020 del 9.7.2020.
In essa viene rimarcato come le pluviali (al pari di gronde e doccioni) vengono ritenute parti comuni dell’edificio anche nel caso in cui il lastrico solare sia di proprietà di un solo condomino. Tali beni, infatti, svolgono una funzione necessaria all’uso comune, in quanto servono all’uso e al godimento di tutti i condomini. Pertanto le relative spese di sostituzione o riparazione vanno sostenute da tutti i condomini delle proprietà sottostanti.
Ed ancora, si legge in sentenza, le pluviali hanno la funzione di convogliare le acque meteoriche dalla sommità dell’edificio fino a terra o a scarichi fognari e svolgono, quindi, funzione che prescinde dal regime proprietario del terrazzo di copertura. Infatti, la proprietà esclusiva del lastrico o terrazzo dal quale provengano le acque che si immettono nei canali non muta questo regime.

Né è consentita un’interpretazione che per analogia estenda il regime dei costi di riparazione stabilito in via eccezionale dall’art. 1126 c.c., per cui tutte le lavorazioni attinenti il rifacimento delle pluviali ed il convogliamento e lo scarico delle acque meteoriche devono essere ripartire ai sensi dell’art. 1123 cod. civ.

E poiché le attribuzioni dell’assemblea sono limitate alla verifica ed all’applicazione dei criteri stabiliti dalla legge, è nulla la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall’articolo 1126 codice civile, laddove i condomini non abbiano manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso.

Leggi testo della sentenza
Nullità delibera condominio – criterio ripartizione spese

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Nullità delibera condominio, modifica criterio ripartizione spese

Tribunale di Napoli, VI Sez. Civ., sentenza del 9 luglio 2020 – – – Condominio. Nullità delibera che modifica criterio legale di ripartizione spese di riparazione del lastrico solare – pluviali, criterio di ripartizione spesa

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Condominio

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Nullità delibera che modifica criterio legale di ripartizione spese di riparazione del lastrico solare – pluviali, criterio di ripartizione spesa

Tribunale di Napoli, VI Sez. Civ., Dott. Maria Teresa Mondo, sentenza del 9 luglio 2020

 

 

Pluviali: si applica il criterio di ripartizione dettato ai sensi dell’ art. 1123 C.C.
Le gronde, i doccioni ed i canali di scarico, che convogliano le acque meteoriche dalla sommità di un edificio condominiale, costituiscono parti comuni, atteso che, svolgendo una funzione necessaria all’uso comune, ricadono tra i beni di cui all’art. 1117 cod. civ., senza che rilevi la circostanza che la copertura del fabbricato, dal quale provengano tali acque, sia costituita da tetto a falda, lastrico o terrazzo di proprietà esclusiva, né trovi applicazione il regime sulle spese stabilito dall’art. 1126 cod. civ., il quale disciplina soltanto le riparazioni o ricostruzioni del lastrico propriamente inteso.

Alla luce di tali principi anche le spese relative a tutte le lavorazioni attinenti il rifacimento delle pluviali ed il convogliamento e lo scarico delle acque meteoriche devono essere ripartite in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi dell’art. 1123 cod. civ.
Ciò vale anche se il terrazzo (o lastrico solare) che copre l’intero edificio è di proprietà esclusiva di un unico condomino.

A tale principio, già espresso dalla Cassazione con la sentenza n. 27154/14 del 22.12.2014, si è uniformato anche il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 4841/2020 del 9.7.2020.
In essa viene rimarcato come le pluviali (al pari di gronde e doccioni) vengono ritenute parti comuni dell’edificio anche nel caso in cui il lastrico solare sia di proprietà di un solo condomino. Tali beni, infatti, svolgono una funzione necessaria all’uso comune, in quanto servono all’uso e al godimento di tutti i condomini. Pertanto le relative spese di sostituzione o riparazione vanno sostenute da tutti i condomini delle proprietà sottostanti.
Ed ancora, si legge in sentenza, le pluviali hanno la funzione di convogliare le acque meteoriche dalla sommità dell’edificio fino a terra o a scarichi fognari e svolgono, quindi, funzione che prescinde dal regime proprietario del terrazzo di copertura. Infatti, la proprietà esclusiva del lastrico o terrazzo dal quale provengano le acque che si immettono nei canali non muta questo regime.

Né è consentita un’interpretazione che per analogia estenda il regime dei costi di riparazione stabilito in via eccezionale dall’art. 1126 c.c., per cui tutte le lavorazioni attinenti il rifacimento delle pluviali ed il convogliamento e lo scarico delle acque meteoriche devono essere ripartire ai sensi dell’art. 1123 cod. civ.

E poiché le attribuzioni dell’assemblea sono limitate alla verifica ed all’applicazione dei criteri stabiliti dalla legge, è nulla la delibera che modifichi il criterio legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall’articolo 1126 codice civile, laddove i condomini non abbiano manifestato l’espressa volontà di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso.

Leggi testo della sentenza
Nullità delibera condominio – criterio ripartizione spese

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Animali selvatici danneggiano la tua auto, chi è legittimato passivo

Animali selvatici danneggiano la tua auto, chi è legittimato passivo – – – Corte di Cassazione, Sez. 3^ Civile, sentenza del 22 giugno 2020

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Animali selvatici danneggiano la tua auto, chi è legittimato passivo.

Risarcimento dei danni all’autovettura causati da animali selvatici (branco di cinghiali) – animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della legge n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato – soggetto legittimato passivo

Corte di Cassazione, Sez. 3^ Civile, sentenza n. 12113 del 22 giugno 2020

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Il caso
Tizio agisce in giudizio nei confronti della Regione Abruzzo per ottenere il risarcimento dei danni riportati dalla propria autovettura a seguito della collisione con un piccolo branco di cinghiali. Il Giudice di Pace accoglie la domanda, il Tribunale di L’Aquila conferma.
La Regione Abruzzo con ricorso per cassazione
pone la discussa questione della individuazione del soggetto, pubblico o privato, tenuto a rispondere dei danni causati dagli animali selvatici (in particolare, ma non solo, alla circolazione su strade pubbliche).
Ritiene il Collegio che tale questione sia necessariamente legata al fondamento giuridico della responsabilità stessa per i danni causati da animali appartenenti a specie protette di proprietà pubblica e richieda un esame analitico della relativa problematica.”

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Nella sentenza i giudici del Supremo Collegio ricordano che “I danni causati dagli animali selvatici, in passato, erano considerati sostanzialmente non indennizzabili, in quanto tutta la fauna selvatica era ritenuta res nullius.”
Poi, osservano quanto appresso: “Con la legge 27 dicembre 1977 n. 968 la fauna selvatica (appartenente a determinate specie protette) è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell’interesse della comunità nazionale e le relative funzioni normative e amministrative sono state assegnate alle Regioni, anche in virtù dell’art. 117 Cost..
Successivamente, la legge 11 febbraio 1992 n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) ha specificato che la predetta tutela riguarda –le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale–, con le eccezioni specificate (talpe, ratti, topi propriamente detti, nutrie, arvicole) ed avviene anche nell’interesse della comunità internazionale, precisando, sul piano delle competenze, che:
le Regioni a statuto ordinario: provvedono –ad emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica– (art. 1);
–esercitano le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria–;
–svolgono i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla presente legge e dagli statuti regionali– (art. 9);
–attuano la pianificazione faunistico-venatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali– (art. 9);
–nonché con l’esercizio di poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle province …– (art. 10);
–… provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia», controllo che «esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici–(art. 19);
— istituiscono e disciplinano il fondo destinato al «risarcimento dei danni prodotti dalla fauna selvatica e dall’attività venatoria», per «far fronte ai danni non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta–(art. 26);
–alle Province, invece: –spettano le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna secondo quanto previsto dalla legge 8 giugno 1990 n. 142, che esercitano nel rispetto della presente legge– (art. 9);
— inoltre, ai sensi dell’art. 19 del decreto legislativo 28 settembre 2000 n. 267 (che ha sostituito la legge n. 142 del 1990), alle Province spettano –le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale– nei settori della –protezione della flora e della fauna, parchi e riserve naturali», nonché della «caccia e pesca nelle acque interne.
La dottrina (oltre ad alcune remote decisioni, soprattutto di merito) ha in prevalenza ritenuto che il riconoscimento della proprietà pubblica della fauna selvatica, con la funzionalizzazione agli interessi collettivi, nazionali ed internazionali, della sua tutela nonché della sua stessa gestione, comportasse l’applicabilità, anche agli animali selvatici appartenenti alle specie protette, del regime di responsabilità speciale previsto, in generale, dall’art. 2052 c.c., per i danni causati dagli animali in proprietà o in uso di un qualunque soggetto giuridico.
Nella giurisprudenza di questa Corte si è invece consolidato un diverso indirizzo, secondo cui il danno cagionato dalla fauna selvatica non è risarcibile in base alla presunzione stabilita nell’art. 2052 c.c., inapplicabile con riguardo alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione, ma solamente alla stregua dei principi generali della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico “
“Tale indirizzo ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale, la quale – con Ordinanza in data 4 gennaio 2001 n. 4 – ha ritenuto non sussistere una irragionevole disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale domestico o in cattività, che risponde dei danni da questo arrecati secondo il criterio di imputazione di cui all’art. 2052 c.c., e la pubblica amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi gli animali selvatici (ciò sull’assunto per cui, poiché questi ultimi soddisfano il godimento della intera collettività, i danni prodotti dagli stessi costituiscono un evento naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario di imputazione della responsabilità civile di cui all’art. 2043 c.c.).
“L’indicata ricostruzione del regime di imputazione della responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici ha inizialmente comportato l’individuazione dell’ente pubblico (eventualmente) responsabile per la colposa omessa adozione delle misure necessarie ad impedirli, nella Regione, quale ente titolare della competenza a disciplinare, sul piano normativo e amministrativo, la tutela della fauna e la gestione sociale del territorio; e ciò anche laddove la Regione avesse delegato i suoi compiti alle Province, poiché la delega non fa venir meno la titolarità di tali poteri e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente delegante”
“Va chiarito il quadro dei successivi orientamenti della giurisprudenza di legittimità in relazione alla cd. legittimazione passiva sul piano sostanziale: la individuazione dell’ente competente cui è ascrivibile la condotta colposa rilevante
A fronte di tale originario orientamento, sono state in seguito operate una serie di specificazioni, pervenendosi in sostanza in qualche modo ad alterare l’esposto criterio di imputazione soggettiva della responsabilità in capo alla Regione.”

Si soffermano sul fatto che il panorama delle principali decisioni relative alle numerose fattispecie di domande di risarcimento di danni causati da animali selvatici appartenenti a specie protette, pervenute all’esame del giudice di legittimità, evidenzia di per sé come l’attuale quadro degli orientamenti della stessa Corte non possa ritenersi univoco.

Tra l’altro, affermano che   “in effetti sono state rilevate da più parti, oltre che contraddizioni tra decisioni aventi ad oggetto analoghe fattispecie, anche una serie di criticità di fondo, emergenti dal suddetto quadro. “
“ Diviene rilevante il tema dell’effettività della tutela dei diritti del danneggiato. In primo luogo è stata ripetutamente segnalata la condizione di oggettiva ed estrema difficoltà pratica in cui, in base agli attuali orientamenti, viene posto il soggetto privato danneggiato dalla condotta di animali selvatici nell’esercitare in giudizio la tutela dei suoi diritti, trovandosi questi costretto, non solo a dover individuare e provare una specifica condotta colposa dell’ente convenuto, causativa del danno, ma anche a districarsi in un ipertrofico e confuso sovrapporsi di competenze statali, regionali, provinciali e di enti vari (enti parchi, enti gestori di strade e oasi protette, aziende faunistico venatorie, ecc.), i cui rapporti interni non sono sempre agevolmente ricostruibili, al fine di individuare l’unico soggetto pubblico effettivamente legittimato passivo, in concreto, in relazione all’azione risarcitoria avanzata (e ciò anche al fine di evitare la responsabilità per le spese processuali in relazione agli altri enti potenzialmente responsabili, eventualmente citati a “scopo cautelativo”), il che finisce in molti casi per risolversi in un sostanziale diniego di effettiva tutela, in evidente tensione con i valori costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost.. “
“ In proposito deve peraltro tenersi conto che l’esclusione dell’illegittimità costituzionale del “diritto vivente” formatosi nella materia (cfr. la già richiamata ordinanza della Corte Cost. n. 4 del 2001) è antecedente all’affermarsi degli orientamenti interpretativi che richiedono, per l’accoglimento della domanda risarcitoria, l’individuazione dell’ente legittimato passivo sul piano sostanziale (recte: l’ente cui è in concreto ascrivibile la specifica condotta colposa causativa del danno) da parte del danneggiato, risalendo al periodo in cui era affermata da questa Corte l’esclusiva legittimazione passiva delle Regioni.
Si rende, pertanto, necessario addivenire ad una uniformità di applicazione del diritto civile nel territorio nazionale. L’affermazione per cui l’ente “legittimato passivo” in relazione all’azione risarcitoria per i danni causati dalla fauna selvatica protetta è esclusivamente quello cui sarebbe spettato in concreto porre in essere la condotta omessa causativa del danno ha, del resto, portato a ricostruzioni non sempre coincidenti delle medesime legislazioni regionali, ed a sostenere talvolta e/o a negare altre volte (anche in relazione alla medesima regione) che avesse rilievo una determinata delega di funzioni amministrative e/o che la stessa potesse dirsi “concretamente attuata”, ovvero che una determinata condotta omessa spettasse ad un ente o ad un altro, e/o fosse o meno esigibile dall’uno o dall’altro. Ciò senza contare che talvolta la stessa responsabilità delle Regioni e delle Province è stata considerata concorrente ed altre volte esclusiva. Inoltre, nella sostanza, tende ad affermarsi in concreto un regime della responsabilità civile per i danni causati dagli animali selvatici differenziato, regione per regione, regime di dubbia compatibilità sistematica con il principio, anch’esso di rilievo costituzionale, per cui la normativa regionale non può incidere sui rapporti di diritto privato.
Anche sotto il profilo della cd. analisi economica del diritto sono state sollevate perplessità sulla razionalità di un regime di imputazione della responsabilità che nella sostanza lascia nella maggioranza dei casi il danno causato dalla fauna selvatica, bene tutelato nell’interesse della collettività, in capo al singolo che lo ha subito, invece di “collettivizzarlo”.
È poi appena il caso di osservare che le palesi difficoltà di applicazione pratica del descritto regime di imputazione della responsabilità hanno causato una notevole incertezza dell’esito delle decisioni giudiziarie, che ha presumibilmente contribuito ad alimentare il contenzioso in modo esponenziale. “

Alla fine gli Ermellini concludono così:
“Va, infine, sottolineato che, (…), la complessa ricostruzione sistematica operata dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al fondamento della responsabilità ed all’individuazione dell’ente pubblico responsabile, ha spesso finito per determinare in concreto un paradosso: quello della implicita contraddizione delle stesse premesse teoriche dell’indirizzo fatto proprio dall’organo decidente.

(…) la decisione impugnata va confermata, con le precisazioni …, dovendosi dare continuità al principio recentemente espresso da questa Corte secondo cui:

“ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della legge n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che –si serve–, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità—“

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Integrazione del contraddittorio, morte o perdita della capacità

Integrazione del contraddittorio, morte o perdita della capacità – – – – Cassazione Unite Civili, sentenza del 24 maggio 2019

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Integrazione del contraddittorio

Integrazione del contraddittorio – conoscenza della morte o della perdita di capacità della parte destinataria della notifica dell’atto di integrazione – interruzione automatica dei termini per la notifica – istanza di rimessione in termini al giudice ad quem, quando?

Cassazione Unite Civili, sentenza n. 14266 del 24 maggio 2019

 

Le SS.UU.  dopo un approfondito esame della giurisprudenza e della sua evoluzione (con una sentenza di 38 pagg.), toccando interessanti  questioni relative all’argomento (anche quello dell’ultrattività del mandato alla lite) hanno enunciato il seguente principio di diritto:

«Nel caso in cui, in sede di notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti del contumace, la parte venga a conoscenza della sua morte o della sua perdita della capacità, il termine assegnatogli dal giudice ai sensi dell’art. 331 cod.proc.civ. è automaticamente interrotto e, in applicazione analogica dell’art. 328 del cod.proc.civ., comincia a decorrere un nuovo termine, di durata pari a quella iniziale, indipendentemente dal momento in cui l’evento interruttivo si è verificato. E’ onere della parte notificante riattivare con immediatezza il processo notificatorio, senza necessità di apposita istanza al giudice ad quem. Solo nel caso in cui, per ragioni eccezionali, di cui la stessa parte deve fornire la prova, tale termine risulti insufficiente ad individuare le persone legittimate a proseguire il giudizio, è consentito chiedere al giudice la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153, secondo comma cod.proc.civ.».

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Prescrizione cartelle di pagamento, quinquennale

Corte di Cassazione, Civile, Sez. 6, ordinanza del 17 marzo 2020 – – – Prescrizione cartelle di pagamento – crediti INPS e INAIL, oggetto di plurime cartelle esattoriali – prescrizione quinquennale –   termine perentorio per proporre opposizione a cartella di pagamento – prescrizione breve anche dopo crediti divenuti irretrattabili

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CARTELLA DI PAGAMENTO
PRESCRIZIONE QUINQUENNALE

Corte di Cassazione, Civile, Sez. 6
Ordinanza n. 7409 del 17 marzo 2020

“La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, anche dopo che i crediti fossero divenuti irretrattabili”.

Solamente in presenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito può aversi la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, in quello ordinario (decennale).

La cartella di pagamento, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.

E’ quanto emerge dall’ordinanza del 17 marzo 2020 della S.C., che ha confermato la consolidata giurisprudenza della stessa Corte.

***

Nell’ Ordinanza:

(OMISSIS)
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Lecce respingeva gli appelli proposti avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva dichiarato estinti i crediti vantati dall’INPS e dall’INAIL, oggetto di plurime cartelle esattoriali, per intervenuta prescrizione quinquennale maturata successivamente alla notifica delle cartelle stesse e prima della notifica dell’intimazione di pagamento e dell’ iscrizione ipotecaria, oggetto di causa;
per quanto solo rileva in questa sede, la Corte territoriale, richiamata la sentenza delle sezioni unite di questa Corte, nr. 23397 del 2016, ha ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale anche dopo che i crediti fossero divenuti irretrattabili;
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, …
(OMISSIS)
le censure sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis cod.proc.civ., poiché la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi significativi per rimeditare la consolidata elaborazione giurisprudenziale (Cass. nr. 7155 del 2017).
soccorre, in particolare, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. nr. 23397 del 2016), secondo il quale:

—-la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10,) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L n. 122 del 2010)—;
in linea con il richiamato principio, e con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che —In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)—;

allo stesso modo, non assume rilievo il richiamo alle norme del D.Lgs. n. 112 del 1999 ( artt. 19, comma 4, e 20, comma 6) nella parte in cui stabiliscono un termine di prescrizione decennale che questa Corte ha già chiarito essere strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);
(omissis)

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Prescrizione cartelle di pagamento, quinquennale

Corte di Cassazione, Civile, Sez. 6, ordinanza del 17 marzo 2020 – – – Prescrizione cartelle di pagamento – crediti INPS e INAIL, oggetto di plurime cartelle esattoriali – prescrizione quinquennale –   termine perentorio per proporre opposizione a cartella di pagamento – prescrizione breve anche dopo crediti divenuti irretrattabili

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CARTELLA DI PAGAMENTO
PRESCRIZIONE QUINQUENNALE

Corte di Cassazione, Civile, Sez. 6
Ordinanza n. 7409 del 17 marzo 2020

“La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, anche dopo che i crediti fossero divenuti irretrattabili”.

Solamente in presenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito può aversi la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, in quello ordinario (decennale).

La cartella di pagamento, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.

E’ quanto emerge dall’ordinanza del 17 marzo 2020 della S.C., che ha confermato la consolidata giurisprudenza della stessa Corte.

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Nell’ Ordinanza:

(OMISSIS)
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Lecce respingeva gli appelli proposti avverso la decisione di primo grado che, a sua volta, aveva dichiarato estinti i crediti vantati dall’INPS e dall’INAIL, oggetto di plurime cartelle esattoriali, per intervenuta prescrizione quinquennale maturata successivamente alla notifica delle cartelle stesse e prima della notifica dell’intimazione di pagamento e dell’ iscrizione ipotecaria, oggetto di causa;
per quanto solo rileva in questa sede, la Corte territoriale, richiamata la sentenza delle sezioni unite di questa Corte, nr. 23397 del 2016, ha ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale anche dopo che i crediti fossero divenuti irretrattabili;
avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, …
(OMISSIS)
le censure sono inammissibili ai sensi dell’art. 360 bis cod.proc.civ., poiché la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del motivo non offre elementi significativi per rimeditare la consolidata elaborazione giurisprudenziale (Cass. nr. 7155 del 2017).
soccorre, in particolare, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. nr. 23397 del 2016), secondo il quale:

—-la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10,) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L n. 122 del 2010)—;
in linea con il richiamato principio, e con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che —In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)—;

allo stesso modo, non assume rilievo il richiamo alle norme del D.Lgs. n. 112 del 1999 ( artt. 19, comma 4, e 20, comma 6) nella parte in cui stabiliscono un termine di prescrizione decennale che questa Corte ha già chiarito essere strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);
(omissis)

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