56 organizzazioni lanciano l’allarme: a rischio i salvataggi a causa degli ostacoli alle navi di soccorso negli Stati UE

In seguito ai recenti provvedimenti che fermano le attività di tre imbarcazioni civili dedite alla ricerca e al soccorso, 56 organizzazioni lanciano l’allarme richiamando l’attenzione sulle limitazioni che vengono sempre più poste ad ostacolo a chi soccorre persone nel Mar Mediterraneo.

Lanciamo un appello urgente all’UE e ai suoi Stati membri: se l’ostruzione dell’assistenza umanitaria in mare continua, potremmo assistere entro la fine dell’anno ad una drastica riduzione o addirittura all’assenza di navi di soccorso civile in mare. Le conseguenze saranno ancora più letali, poiché la grave limitazione degli sforzi di soccorso civile non fermerà i tentativi di attraversamento delle persone

Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione è tra i firmatari dell’appello congiunto alle autorità pubblicato oggi.

ASGI ha esplicitamente espresso il proprio dissenso verso le recenti politiche migratorie istituite dal Governo italiano, che comportano restrizioni nell’ambito delle operazioni di soccorso e, di conseguenza, mettono in serio pericolo la vita dei migranti. Tali politiche portano oggi le autorità competenti spesso ad assegnare porti di sbarco lontani, costringendo le navi civili a viaggiare per diversi giorni in direzione del nord Italia per permettere lo sbarco dei sopravvissuti. Queste decisioni non solo allontanano inutilmente le navi destinate al salvataggio dalla zona di intervento, ma comportano anche un prolungamento di tempo ingiustificato delle persone salvate e dunque in uno stato di vulnerabilità sulle imbarcazioni . ASGI, pertanto, ribadisce sia l’adesione all’appello e mentre continua a sostenere le varie organizzazioni le cui operazioni di soccorso sono sempre più a rischio, ribadisce anche la necessità di aprire vie legali e favorire la libera circolazione di chi migra .

Di seguito l’appello congiunto.

Allarme urgente: Aumentano le morti in mare, bloccate le navi delle ONG Gli Stati Membri dell’Unione Europea devono interrompere immediatamente l’ostacolo agli sforzi di ricerca e soccorso della flotta civile nel Mediterraneo centrale

Nel giugno 2023, circa 600 persone hanno perso la vita nell’ennesimo naufragio evitabile al largo delle coste greche. Come società civile siamo sconvolti dalle morti prevenibili che si verificano ogni anno nel Mediterraneo centrale. Mentre ogni singola nave è urgentemente necessaria per prevenire la crescente perdita di vite umane sulla rotta migratoria più mortale del mondo, gli Stati membri dell’UE – Italia in testa – ostacolano attivamente gli sforzi di ricerca e soccorso civili.

Ad oggi Aurora, Open Arms e Sea-Eye 4, tre navi civili completamente equipaggiate per la ricerca e il soccorso (SAR), non possono operare in mare. I tre provvedimenti di fermo, emessi dalle autorità italiane in meno di 48 ore, si aggiungono alla significativa casistica di ostruzione amministrativa che le ONG SAR hanno dovuto affrontare quest’anno. Dall’inizio del 2023, ci sono stati otto casi di fermo di navi ONG in Italia. Alle navi civili di ricerca e soccorso Aurora, Geo Barents, Louise Michel, Mare*Go, Open Arms e Sea-Eye 4 è stato impedito di uscire in mare per 20 giorni, sulla base di regolamenti illegittimi. Sia Aurora che Sea-Eye 4 sono state trattenute per la seconda volta quest’anno. Questi fermi hanno tenuto lontane le navi delle ONG SAR per un totale di 160 giorni, nei quali avrebbero potuto essere impiegate per salvare persone da imbarcazioni in difficoltà e per prevenire i naufragi che si verificano quotidianamente nel Mediterraneo centrale.

L’accanimento amministrativo si basa su una recente legge [1] dello Stato membro dell’UE, l’Italia, che aumenta i requisiti per le navi delle ONG che svolgono attività di ricerca e soccorso e introduce sanzioni in caso di inosservanza. Le nuove misure fanno parte di una lunga storia di criminalizzazione e ostruzione delle attività di ricerca e soccorso civili in Italia. Applicando la legge, le autorità italiane ordinano alle navi SAR di dirigersi verso un porto assegnato immediatamente dopo un soccorso – anche in situazioni in cui vi siano casi aperti di imbarcazioni in difficoltà nelle vicinanze della nave ONG. Ciò significa che la nuova legge nazionale fa pressione sui capitani della flotta civile affinché disobbediscano al diritto marittimo internazionale e all’obbligo di soccorso. Le autorità italiane stanno quindi di fatto limitando le operazioni di soccorso, in contrasto con l’obbligo legale internazionale di soccorso.

La legislazione è aggravata dalla prassi del Governo italiano di assegnare “porti lontani”, imponendo alle navi ONG di sbarcare le persone soccorse in porti distanti fino a 1.600 km e a 5 giorni di navigazione dal luogo del soccorso. Secondo il diritto internazionale, lo sbarco delle persone soccorse in un luogo sicuro dovrebbe avvenire “non appena ragionevolmente possibile”, con “la minima deviazione dal viaggio della nave” e il tempo che i soccorsi trascorrono a bordo dovrebbe essere ridotto al minimo [2]. Tuttavia dal dicembre 2022, in più di 60 casi le autorità italiane hanno assegnato alle navi ONG un porto eccessivamente e inutilmente distante. Inoltre, le autorità italiane hanno recentemente dato ripetutamente istruzioni alle navi delle ONG di richiedere un posto sicuro in Tunisia per le persone soccorse in mare. Con una grave mancanza di protezione per i richiedenti asilo e nel mezzo di un’ondata di violenza contro le popolazioni migranti, la Tunisia non può essere considerata un luogo sicuro. Sbarcare le persone soccorse sulle sue coste sarebbe una violazione del diritto internazionale.

Le ONG che non si sono conformate alle richieste illegittime delle autorità italiane sono state multate fino a 10.000 euro e le loro imbarcazioni sono state trattenute per 20 giorni. Tutte le ONG che svolgono attività di ricerca e soccorso in mare rischiano ora ulteriori multe e fermi. Secondo la legge italiana, il ripetersi di inadempienze porterà al sequestro delle imbarcazioni, con la conseguente cessazione definitiva delle attività.

La detenzione e il possibile sequestro delle navi delle ONG e l’assegnazione di porti lontani limitano le navi nelle loro operazioni di soccorso. Sappiamo dalle restrizioni imposte dal Governo greco alle ONG di ricerca e soccorso nel settembre 2021, che le ostruzioni striscianti che si verificano ora in Italia finiranno per ridurre il numero delle navi di soccorso civili attive e di conseguenza l’aumento di perdite di vite umane nel Mediterraneo.

Come organizzazioni non governative, associazioni e iniziative che si battono per l’accesso alla protezione e al rispetto dei diritti fondamentali delle persone in movimento, siamo stati testimoni della micidiale politica di chiusura e deterrenza dell’UE. Questa politica non porta ad un minor numero di persone che cercano di attraversare, ma a maggior sofferenza e morte. Mentre l’Italia – sostenuta dalla maggioranza silenziosa degli Stati membri dell’UE – ha messo in atto queste misure restrittive, il numero di naufragi mortali è aumentato drammaticamente, rendendo l’anno 2023 già uno dei più letali degli ultimi anni. L’aumento dei naufragi rende ancora più evidente l’urgenza di ulteriori mezzi per la ricerca e soccorso.

Pertanto lanciamo un appello urgente all’UE e ai suoi Stati membri: se l’ostruzione dell’assistenza umanitaria in mare continua, potremmo assistere entro la fine dell’anno ad una drastica riduzione o addirittura all’assenza di navi di soccorso civile in mare. Le conseguenze saranno ancora più letali, poiché la grave limitazione degli sforzi di soccorso civile non fermerà i tentativi di attraversamento delle persone. Chiediamo quindi all’UE e ai suoi Stati membri di agire con urgenza e di fermare il blocco illegittimo delle navi del soccorso civile in Italia. Tutte le navi SAR devono essere rilasciate immediatamente e le multe previste dalla legge devono essere annullate. La legge italiana che limita le attività di ricerca e soccorso delle ONG nel Mediterraneo centrale deve essere revocata immediatamente e al suo posto deve essere applicato il diritto marittimo internazionale e l’osservazione dei diritti umani come quadro di riferimento per tutti gli attori in mare. La Commissione europea deve contrastare la crescente violazione dei principi fondamentali dello Stato di diritto da parte dei suoi Stati membri alle frontiere esterne dell’UE. Inoltre, gli Stati dell’UE devono creare corridoi legali e sicuri per evitare che le persone siano costrette ad imbarcarsi su navi non idonee alla traversata.

[1] Decreto legge n. 1/2023, modificato dalla legge n. 15 del 24 febbraio 2023.

[2] Emendamenti del 2004 alla Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio in mare (1979), risoluzione MSC.155(78) dell’IMO, 3.1.9; risoluzione MSC.167(78) dell’IMO, 2004, 6.8


Primi firmatari

CompassCollective

EMERGENCY

iuventa-crew

Louise Michel

Maldusa

MARE*GO – Zusammenland gUG

Médecins Sans Frontières

MEDITERRANEA Saving Humans

Mission Lifeline

Open Arms

ResQ – People Saving People

RESQSHIP

r42-SailAndRescue

Sea-Eye e. V.

Sea-Punks

Sea-Watch e.V.

SMH – Salvamento Marítimo Humanitario

SOS Humanity

SOS Mediterranee

Aderiscono all’appello:

United4Rescue

Alarm Phone

borderline-europe

PRO ASYL

Statewatch
Seebrücke 

Human Rights at Sea 

Lighthouse Relief

aditus foundation

I Have Rights. 

La Cimade

Channel Info Project from l’Auberge des Migrants

Progetto Mem.Med

LasciateCIEntrare

Melitea

Convenzione per i diritti nel Mediterraneo

Abolish Frontex Roma

Stop Border Violence 

Asmara’s World

Gisti (Groupe d’information et de soutien des immigré·e·s)

Seebrücke Frankfurt am Main

Pasaje Seguro Cantabria

Medici del Mondo

Alarme Phone Sahara

Are You Syrious?

migration-control.Info Projekt

Lungo la Rotta Balcanica 

Migreurop

ASGI Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

Ärzte der Welt e.V. / Médecins du Monde Germany

#LeaveNoOneBehind

Europasilo

Associazione Don Vincenzo Matrangolo E.T.S. 

MoCi A.p.s. 

Recosol (Rete delle comunità solidali) 

Boza Fii ( Benn Kaddu – Benn Yoon )

Europe Must Act


Foto: Max Hirzel/SOS Humanity

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ASGI : è un dovere giuridico soccorrere chiunque sia in pericolo in mare, anche se fuori dalla nostra area di intervento

Di fronte al naufragio avvenuto il 12 marzo 2023 nelle acque della zona SAR libica che ha visto la morte in mare di 30 persone (cd “disperse”), a pochi giorni dalla strage di Steccato di Cutro ASGI ritiene che  occorra ancora una volta indagare circa le responsabilità delle autorità italiane.

Dalla ricostruzione dei fatti fornita dall’organizzazione Alarm Phone risulta infatti che la segnalazione del barcone in difficoltà fu fatta fin dal 10-11 marzo e che le autorità libiche avessero già comunicato a quelle italiane di non essere in grado di intervenire per soccorrere l’imbarcazione in distress.

La Guardia Costiera italiana ha confermato quanto accaduto pur precisando che «l’intervento di soccorso è avvenuto al di fuori dell’area di responsabilità SAR italiana, registrando l’inattività degli altri Centri Nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati per area». Tale precisazione risulta del tutto insufficiente a sollevare l’Italia dalle proprie responsabilità.

La Convenzione di Amburgo obbliga infatti ad agire ogni Stato interessato da una chiamata di soccorso e a coordinare anche unità navali non nazionali che si trovano nell’area senonché ad occuparsi anche dello sbarco delle persone salvate.

 L’evento conferma inoltre che la zona SAR libica è fittizia, tanto che le forze libiche non intervengono se non per riportare le persone nei luoghi di detenzione.

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Naufragio di Cutro, ASGI: ritardi nell’attivazione dell’accoglienza per i superstiti

ASGI continua a esprimere forte preoccupazione per quanto succede a Crotone, sia in riferimento ai superstiti al naufragio di Cutro del 26 febbraio, sia in riferimento ai familiari delle vittime e dei dispersi. Oggi l’associazione parteciperà alla manifestazione prevista a Cutro.

Oltre alle doverose e necessarie azioni a favore dei familiari delle vittime, le condizioni dei superstiti continuano a mostrare evidenti profili di illegittimità e di violazione dei loro diritti.

Insieme ad altre associazioni, ASGI é stata presente a Crotone, al Palamilone, a seguito del naufragio avvenuto a Steccato di Cutro il 26 febbraio, e nell’ex CARA di Isola Capo Rizzuto.

Dall’osservazione diretta, e da quanto riferito dai familiari con i quali si è entrati in contatto, abbiamo rilevato l’assenza totale di indicazioni chiare e precise da parte del Governo e della Prefettura di Crotone, l’assenza di una cabina di regia atta anche a garantire nell’immediatezza dei fatti, adeguato supporto ai familiari delle vittime del naufragio e una gestione scaricata completamente sull’amministrazione locale e sulle associazioni- locali e non.

A distanza di due settimane dall’evento tragico, le criticità persistono, come diretta conseguenza di prassi illegittime costantemente attuate dalle Autorità Competenti, al di là della solita retorica emergenziale.

Da quanto si è potuto constatare risulterebbero mancare procedure precise di registrazione dei familiari che si sono presentati a Cutro alla ricerca dei propri congiunti e che non hanno identificato gli stessi tra le vittime del naufragio sebbene si sia ancora alla ricerca di dispersi.

Le procedure di trasferimento delle salme hanno generato nei familiari presenti momenti di tensione in ragione di informazioni contraddittorie e poco chiare circa la possibile destinazione dei feretri e la copertura dei costi necessari al trasporto.

Sono state altresì evidenziate immediatamente le gravi violazioni delle norme in materia di accoglienza e di accesso alla procedura per i superstiti e in riferimento alle misure di protezione e tutela per i minori e i minori soli.

Le persone sopravvissute la naufragio sono state accolte presso il CARA di Crotone in condizioni totalmente inadeguate e di completa promiscuità, sempre sotto il costante controllo delle forze di polizia. Mentre tutti gli sguardi erano concentrati sulle bare al PalaMilone, i superstiti sono diventati invisibili, privati di fatto della loro libertà di movimento.

Solo a seguito degli articoli e delle foto apparse sulla stampa, e della conseguente ondata di indignazione, i superstiti, dopo nove giorni di permanenza nel CARA, sono stati trasferiti in una struttura alberghiera. 

Il direttore dell’ex CARA di Crotone ha dichiarato a Il Fatto Quotidiano che la collocazione delle persone superstiti nel centro rientrava tra “le attività di primissima accoglienza e, a prescindere, comunque sarebbero stati spostati e non sarebbero rimasti lì a vita. Tutte le attenzioni possibili le abbiamo avute”.

La permanenza all’interno del CARA, senza la garanzia di procedure adeguate e sotto il controllo delle forze dell’ordine, assume le forme di un vero e proprio trattenimento illegale, in violazione delle normativa italiana ed europea, dato che la Prefettura, dopo aver espletato le esigenze di prima accoglienza, avrebbe dovuto immediatamente trasferire i superstiti in un centro di accoglienza in cui vi fossero condizioni materiali adeguate e idonee ad accoglierli, diverso dalla c.d. “zona hotspot” dell’ex C.A.R.A, così come dispone l’art. 9 del D.Lgs.142/2015.

I richiedenti asilo, inoltre, hanno diritto al trasferimento nelle strutture di cui all’articolo 14, ovvero nei progetti SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione), e cioè gli ex SPRAR, ma solo alcuni trasferimenti sono stati disposti, nonostante la Prefettura di Crotone, già nella giornata di lunedì 01 marzo, fosse già stata debitamente informata che, solo in provincia di Cosenza, erano e sono disponibili circa 50 posti per l’accoglienza dei superstiti. 

Si evidenzia che le equipe dei progetti SAI hanno, al loro interno, non solo mediatori e psicologi, ma anche operatori legali in grado di garantire una corretta e adeguata informativa legale, così come prevista dalla legge.

Non si conosce, inoltre, quale sia la condizione giuridica dei superstiti, se l’Autorità Giudiziaria ritenga opportuno restino a disposizione, se siano stati notificati decreti di respingimento o provvedimenti amministrativi di espulsione, se e per chi è stata avviata la corretta procedura di registrazione della domanda di protezione internazionale.

Ricordiamo che l’art. 10 ter del Testo Unico Immigrazione prevede che “Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea

L’assenza di chiare indicazioni circa le procedure attivate fa in particolare dubitare che sia stata svolta una adeguata informativa legale relativa alle possibilità di accesso alla procedura di asilo e che, anche nel caso in cui questa fosse stata garantita, la stessa si sia stata svolta secondo le modalità previste (presenza di un mediatore, in un contesto opportuno, rispetto della privacy).

Certamente possiamo rilevare che le Autorità competenti non hanno adempiuto ad un preciso, primario e fondamentale obbligo di legge, la cui violazione impedisce ai superstiti il diritto ad avere una corretta informazione legale, in modo da poter effettuare scelte consapevoli.

Al contrario, i superstiti sono da ben due settimane nella disponibilità della pubblica amministrazione, fuori dal controllo di attori indipendenti, in un momento determinante per la loro futura condizione giuridica.

ASGI auspica che quanto prima si intervenga per consentire il rispetto delle procedure previste dalla legge, ponendo fine una gestione emergenziale, informale e scarsamente strutturata che sta causando la prolungata e tragica contrazione dei diritti dei superstiti e dei loro familiari.

L’associazione, attiva sin dai momenti successivi al naufragio sul campo grazie all’operato di diversi soci e socie, oggi 11 marzo 2023, parteciperà alla manifestazione che si terrà a Cutro.

La gravità della strage e in generale del contesto attuale nonché delle condotte del governo ha spinto molti di noi ad essere presenti non solo nei giorni immediatamente dopo il naufragio ma anche alla manifestazione. Un atto dovuto” afferma il presidente Lorenzo Trucco, anch’egli presente alla manifestazione.

Si veda anche:

Foto di Daniele Valeri

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Naufragio Cutro: Associazioni depositano esposto collettivo in Procura

tramonto con salvagente

Oltre 40 associazioni della società civile italiana ed europea hanno presentato un esposto collettivo alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone per chiedere di fare luce sul naufragio di domenica scorsa a Steccato di Cutro, costato la vita ad almeno 72 persone, tra cui molti bambini. 

“Davanti a così tanti morti e chissà quanti dispersi, è doveroso fare chiarezza” dichiarano le organizzazioni. “Vogliamo dare il nostro contributo all’accertamento dei fatti, non ci possono essere zone grigie su eventuali responsabilità nella macchina dei soccorsi”.

Le associazioni firmatarie dell’esposto, infine, rinnovano il loro appello all’Italia e all’Europa: per ridurre drasticamente il rischio di nuove tragedie è necessario mettere in piedi al più presto un sistema di ricerca e soccorso in mare adeguato e proattivo.

ASGI ha contribuito alla redazione dell’esposto congiunto.

L’aver colposamente qualificato una situazione di pericolo in mare, come evento di immigrazione illegale da affidarsi alla Guardia di Finanza come operazione di polizia e non ad autorità e mezzi equipaggiati per il soccorso come sono invece quelli della Guardia Costiera, è stata una scelta prevedibilmente erronea che non ha tenuto conto degli obblighi di tutela della vita umana in mare derivanti dal diritto internazionale e implementati nella legislazione nazionale..

Per tale ragione assieme ad altre associazioni  abbiamo ritenuto necessario agire collettivamente, nell’interesse dell’intera società civile, chiedendo all’Autorità Giudiziaria di valutare se siano ravvisabili, in capo agli agenti delle autorità competenti per il soccorso in mare, responsabilità penali (in particolare per i reati di naufragio colposo e omicidio plurimo).”

Ricordiamo infatti che:

  • Se la normativa nazionale ed internazionale in tema di soccorsi in mare fosse stata puntualmente applicata da parte delle autorità italiane a ciò preposte una simile tragedia, prevedibile, poteva essere evitata.

  • Il naufragio di domenica 26 febbraio è avvenuto in zona SAR italiana e vicinissimo alla costa.
  • Il Centro di Coordinamento dei Soccorsi in Mare (IMRCC) avrebbe dovuto assumere il coordinamento dei soccorsi ed inviare assetti navali ed aerei adeguati come previsto dalle disposizioni del Piano SAR Marittimo Nazionale (Decreto Ministeriale numero 45 del 04/02/2021).  
  • Dai comunicati delle autorità coinvolte (Frontex, Guardia Costiera e Guardia di Finanza) appare, infatti,  che le autorità italiane abbiano ricevuto comunicazione in merito alla presenza di un’imbarcazione, sovraccarica di persone e diretta verso le coste italiane, quasi 24 ore prima del disastro. Questo lasso di tempo avrebbe certamente permesso ai mezzi di soccorso della Guardia Costiera italiana di raggiungere l’imbarcazione in pericolo e scortarla verso la costa, impedendole di incagliarsi in una secca sabbiosa naufragando.

Infine ricordiamo che l’Italia è già stata censurata dal Comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite per la violazione del diritto alla vita in merito al mancato soccorso dell’11 ottobre 2013, quando le autorità italiane attesero molte ore prima di soccorrere un’imbarcazione con a bordo circa 300 persone, che nell’attesa dei soccorsi si capovolse. Quando, sette anni dopo gli eventi, i procedimenti penali relativi ai mancati soccorsi risultavano ancora in corso, il Comitato ha ritenuto che l’Italia non avesse adempiuto al suo dovere di condurre una rapida indagine sulle accuse di violazione del diritto alla vita e che, di conseguenza, abbia violato i suoi obblighi ai sensi del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

Il 2 dicembre 2022, il Tribunale di Roma ha finalmente constatato la dolosa omissione del soccorso da parte degli ufficiali – di Guardia Costiera e Marina Militare – competenti a dare l’ordine di intervento, ritenendo però che i reati loro ascritti, pur sussistendone tutti gli elementi costitutivi fossero da dichiarare prescritti.”

ASGI, insieme alle altre associazioni che hanno depositato l’esposto, auspica che indagini rapide ed effettive volte all’accertamento delle responsabilità penali degli organi statali permettano di evitare che questa ennesima tragedia resti impunita.

Le associazioni e sigle firmatarie dell’esposto sono:

AOI – ASSOCIAZIONE ONG ITALIANE

Associazione Contro gli Abusi in Divisa (A.C.A.D.)

Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (A.S.G.I.)

Associazione Clinica Legale per i Diritti Umani

Associazione Progetto Accoglienza,

ARCI

Borderline-Europe

Casa dei Diritti Sociali

CIAC

Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos

Legambiente Nazionale

Consorzio Italiano di Solidarietà – ufficio rifugiati ONLUS (ICS)

Emergency

Fondazione Gruppo Abele

Gruppo Lavoro Rifugiati 

International Justice and Human Rights Centre

Legal Team Italia

Medici Senza Frontiere 

Associazione Don Vincenzo Matrangolo 

Rete Comunità Solidali

Open Arms Italia 

Oxfam Italia

SOS MEDITERRANEE Italia

Progetto Mem.Med – Memoria Mediterranea 

Mediterranea Saving Humans

PROGETTO DIRITTI

WatchTheMed Alarm Phone

Sea-Watch

Sea Eye 

RESQ – PEOPLE SAVING PEOPLE

Diritti di Frontiera – Laboratorio di Teoria e Pratica dei Diritti

Fondazione Roberto Franceschi

A Buon Diritto

Confederazione Unione Sindacale di Base

Iuventa-crew

Louise Michel

Associazione Comunità Progetto Sud

Medici del Mondo Italia

Campagna LasciateCIEntrare

Melting Pot

MoCi Cosenza

Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza

La Petite Bibliothèque

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Una bandiera dell’Onu per le navi umanitarie

L’appello e le ragioni di una Campagna a cui ASGI ha aderito.

Occorre dotare le navi che fanno soccorso in mare della bandiera dell’Onu, e le Nazioni Unite possono farlo. Occorre cancellare la cosiddetta zona Sar libica, e anche questo fatto, dall’IMO, l’International Maritime Organization. Il Mediterraneo centrale è la rotta più letale del mondo: dal 2014 oltre 25 mila vittime, più di 1.400 quelle del solo 2022. E sono più di 30 mila, sempre lo scorso anno, gli uomini, le donne e i bambiniprofughi e migranti riportati nell’inferno libico da cui avevano tentato di fuggire mettendosi in mare.

Nonostante questa strage silenziosa di vite umane l’Europa e l’Italia continuano a fare muro controi migranti, anziché fare ciò che il diritto internazionale prevede: mettere in atto ogni sforzo per salvare chi rischia di morire in mare. Non solo. L’Europa e l’Italia continuano anche a criminalizzare e ad ostacolare in tutti i modi chi cerca di soccorrerli, ossia le navi della flotta civile, le uniche presenze impegnate a salvaguardare quegli esseri umani lasciati a sé stessi.

Stiamo, per questo, assistendo ad un processo di “criminalizzazione della solidarietà” che espone gli equipaggi, nel caso delle navi umanitarie che operano salvataggi in mare, a vere e proprie persecuzioni con possibili conseguenze giudiziarie. Per questo, i sottoscrittori di questo appello, coordinati dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, hanno deciso di rivolgersi all’Organizzazione delle Nazioni Unite perché la vita e la dignità degli equipaggi delle navi umanitarie e dei migranti strappati ad una morte sicura in mare, siano tutelati attraverso due azioni da attuare nel più breve tempo possibile. Leggete, diffondete, firmate e fate firmare l’appello che segue, esteso a tutti i Paesi Europei, proposto in forma integrale, che verrà inviato agli organismi competenti dell’ONU (Segretario Generale e Alto Commissariato dei Diritti Umani) entro la fine del mese di marzo 2023. Grazie.

Per aderire all’appello

ADESIONI COLLETTIVE

Abareka – Organizzazione di volontariato

Agorà Abitanti della terra – Associazione per il diritto alla vita e la giustizia sociale

Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo – Progetto editoriale

ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione

Assopace Palestina – Associazione politica e culturale

Comitato per il Diritto al Soccorso in mare – Comitato di Garanzia delle Navi Umanitarie

Donne in nero – Movimento pacifista internazionale

Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli – Manifestazione cinematografica internazionale

Fondazione Finanza Etica – Fondazione culturale

LEFT – Rivista quindicinale

Linea d’Ombra – Organizzazione di volontariato di Trieste

Milano senza Frontiere – movimento popolare

Pax Christi Italia – Movimento cattolico globale

Pressenza – Agenzia giornalistica

RESQ People Saving People – Nave Umanitaria

Rete Sostenere Riace – Rete di solidarietà con il progetto Riace

SOS Mediterranee Italia – Nave Umanitaria

Tavola della Pace – Coordinamento Pace, Diritti Umani e Solidarietà

The Last Twenty – La voce degli ultimi 20 Paesi del mondo

Unimondo – Ong

Un Ponte per – Ong

Veglie contro le morti in mare – Movimento civico

ADESIONI INDIVIDUALI

Francesca Albanese – Rapporteur ONU in Palestina (OHCHR)

Don Mimmo Battaglia – Arcivescovo di Napoli

Enrico Calamai – Fondatore Comitato per la promozione e la protezione dei diritti umani

Don Nandino Capovilla – Parroco di Marghera

Raffaele Crocco – Direttore Atlante delle Guerre e del Conflitti Mondo e Unimondo

Virgilio Dastoli – Movimento Europei Italia

Maurizio del Bufalo – Coordinatore Festival del Cinema dei Diritti Umani Napoli

Francesca De Vittor – Giurista, Comitato per il diritto al soccorso

Franco Dinelli – Direttore Centro Studi Economici e Sociali Pax Christi Italia

Alfio Foti – Convenzione per Diritti del Mediterraneo

Flavio Lotti – Coordinatore Tavola della Pace

Simona Maggiorelli – Direttrice LEFT

Fabio Marcelli – Giurista

Ugo Melchionda – Portavoce di Grei250

Luisa Morgantini – Presidente Assopace Palestina

Alfio Nicotra – Co-Presidente Un Ponte per

Moni Ovadia – Attore, cantante e scrittore

Giacinto Palladino – First Social Life

Tonino Perna – Presidente The Last Twenty

Riccardo Petrella – Presidente Agorà Abitanti della Terra

Anna Polo – Agenzia Pressenza

Alessandro Porro – Portavoce SOS Mediterranee Italia

Don Giovanni Ricchiuti – Presidente Pax Christi

Domenico Rizzuti – Presidente Forum Italo Tunisino per la Cittadinanza Mediterranea

Angelica Romano – Co-Presidente Un Ponte per

Roberto Savio – Giornalista, direttore Othernews

Luciano Scalettari – Presidente Nave RESQ

Gianfranco Schiavone – Giurista ASGI

Filippo Severino – Pax Christi Campania

Simone Siliani – Presidente Fondazione Finanza Etica

Cecilia Strada – Resp. Comunicazione Nave RESQ

Fulvio Vassallo Paleologo – Giurista

Vincenzo Vita – Presidente Archivio Audiovisivo Movimento Operaio e Democratico

Alex Zanotelli – Missionario Comboniano

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Fermare l’ipocrisia, aprire i confini

naufragio di migranti , spiaggia con i resti del barcone

L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione esprime profondo dolore per l’ennesima strage di donne, uomini e bambini avvenuta nei pressi delle coste italiane, questa volta al largo della Calabria, e vicinanza alle persone sopravvissute.

Sentiamo il dovere di intervenire a seguito di questa ennesima tragedia per ribadire la necessità che si adottino politiche credibili volte a garantire l’ingresso sicuro delle persone straniere in Italia, specie se richiedenti asilo, attraverso la modifica della legislazione italiana in materia di migrazione.

Dobbiamo invece constatare che le iniziative dell’attuale Governo italiano e del Parlamento, peraltro in drammatica continuità con i precedenti, si muovono in tutt’altra direzione, come dimostrato dalla recente conversione in legge del d.l. 1/2023 volto esclusivamente al contrasto delle attività di salvataggio in mare da parte di organizzazioni umanitarie.

Conseguentemente tragedie del genere, già verificatesi in passato, sono destinate a ripetersi ancora perché per prevenirle ed evitarle sono del tutto inefficaci politiche, come quelle ripetute negli ultimi decenni in Italia ed in Europa, che mirino ad impedire le partenze dei migranti o a pattugliare in ottica repressiva le frontiere marittime anche attraverso il finanziamento di Stati e governi che non rispettano i diritti degli individui.

A fronte di tale evidenza crediamo sia necessario, innanzitutto, fermare l’ipocrisia di fingere che il motivo principale delle tragedie nel mar Mediterraneo non sia nelle politiche di chiusura delle frontiere e di esternalizzazione dei confini e del diritto di asilo, ma nei trafficanti di uomini e donne; così volutamente si confondono cause ed effetti anche di quest’ultima strage perchè è evidente che il traffico di esseri umani è la conseguenza della impossibilità di esercitare la libertà di movimento delle persone.

Appare urgente infatti prevedere al più presto nuove norme che consentano a chiunque ne abbia la necessità e i requisiti un ingresso regolare e sicuro in Italia mediante procedure semplici e veloci di rilascio di visti d’ingresso per richiesta di asilo o per ricerca di lavoro.

Sappiamo, inoltre, che le autorità italiane ed europee, anche attraverso l’Agenzia europea della guardia di frontiera Frontex, erano a conoscenza della situazione di difficoltà dell’imbarcazione circa 24 ore prima del naufragio e non sono intervenute tempestivamente. Risulta perciò necessario allora assumere i consequenziali provvedimenti ed indagare nelle opportune sedi affinché siano accertate le reali dinamiche dell’evento e siano individuati gli eventuali soggetti responsabili del mancato intervento in soccorso.

Occorre rovesciare la prospettiva sulle migrazioni: l’Italia e l’Europa si facciano carico delle responsabilità che derivano da un modello di sviluppo che genera povertà conflitti, guerre e migrazioni anche forzate ed aprano i loro confini dinanzi alla mobilità delle persone.

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Appello della società civile al Governo: 8 mila firme contro i respingimenti collettivi

imbarcazione

Chi volesse unirsi all’appello può firmare compilando questi moduli a titolo individuale o in rappresentanza di un’associazione:

Appello “Il Governo ritiri subito i Decreti che impediscono lo sbarco dei naufraghi nei nostri porti”

Il Decreto del 4 novembre 2022 – dei Ministeri dell’interno, dei trasporti e della mobilità sostenibile e della difesa – vieta alla nave Humanity1, della ONG SOS Humanity, di “sostare nelle acque territoriali italiane …oltre il termine necessario per assicurare le operazioni di soccorso ed assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali ed il precarie condizioni di salute”; analogo decreto è stato adottato la sera del 6 novembre per la nave Geo Barents, della ONG Medici Senza Frontiere, secondo un metodo che potrebbe ripetersi anche nell’immediato futuro (altre navi con naufraghi a bordo sostano infatti al confine con le acque territoriali). I decreti sono manifestamente illegittimi in quanto violano numerose norme del diritto internazionale ed interno.

I Decreti devono essere ritirati.

Invocando un generico pericolo per la sicurezza dell’Italia, posto in relazione allo sbarco di naufraghi, impropriamente richiamando l’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione Onu sul diritto del mare, il Governo impedisce la conclusione delle operazioni di salvataggio di naufraghi. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla Convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce, infatti, nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”) (Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza del 20 febbraio 2020, n. 6626).


Il punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile».


Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004), allegate alla Convenzione SAR, dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Obbligo al quale le autorità preposte, italiane e maltesi, si sono sottratte.


Non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poichè tali persone hanno, tra i numerosi altri diritti, quello di presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave.


A ulteriore conferma di tale interpretazione è utile richiamare la Risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa secondo cui «la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali» (punto 5.2.).


Al riguardo, risulta arbitraria quanto approssimativa la distinzione all’interno dei gruppi dei naufraghi che il Governo italiano sta proponendo, come risulta impossibile escludere la situazione emergenziale delle decine se non centinaia di persone a bordo la cui condizione va valutata singolarmente, in ossequio all’art. 19 della Carta del Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che vieta le espulsioni collettive e all’effettivo rispetto dell’art 3 della CEDU e dell’art 4 della CDFUE, nonchè al carattere assoluto del divieto di trattamenti inumani e degradanti (l’art. 15 della Convenzione EDU fa espresso divieto di deroga, persino in caso di guerra o di pericolo pubblico che interessi la nazione).


Deve poi essere assicurato alle persone a bordo della nave e in acque territoriali italiane il diritto a chiedere la protezione internazionale in attuazione dell’art. 6 della direttiva 2013/32/UE (direttiva procedure) che obbliga gli Stati membri a garantite un accesso effettivo alla procedura. Si tratta di diritto fondamentale sancito dall’art. 10 comma 3 della Costituzione, norma declinata anche come diritto di accedere al territorio dello Stato al fine di essere ammesso alla procedura anche di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. sent. n. 25028/2005), in quanto, come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 29460/2019), il diritto alla protezione internazionale “è pieno e perfetto” e “il procedimento non incide affatto sull’insorgenza del diritto” che “nelle forme del procedimento è solo accertato…il diritto sorge quando si verifica la situazione di vulnerabilità”.


Ai sensi dell’art 10 ter del D.lvo n. 286/98 le persone giunte sul territorio nazionale a seguito di salvataggio in mare devono essere condotte presso i punti di crisi o nei centri di prima accoglienza, dove sono identificati, è assicurata la prima assistenza e deve essere assicurata l’informazione anche sul diritto a chiedere la protezione internazionale. L’illegittimo tentativo di fare sbarcare esclusivamente alcuni dei naufraghi e respingere indistintamente tutti gli altri al di fuori delle acque territoriali nazionali si configura, oggettivamente, come una forma di respingimento collettivo, vietato dall’art. 4, Protocollo n. 4 della CEDU; attività, quest’ultima, per la quale l’Italia è già stata condannata in passato (sentenza Hirsi Jamaa c. Italia del 2012).


La condotta governativa si pone, altresì, in contrasto con i principi sanciti nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e, in primo luogo, del principio di non refoulement (art. 33). In questa condizione se i comandanti delle navi portassero fuori dai confini italiani i naufraghi potrebbe configurarsi a loro carico, e a carico degli armatori, una responsabilità per avere prodotto, in esecuzione di un ordine manifestamente illegittimo, una grave violazione dei diritti umani.


È, dunque, necessario che il Governo ritiri immediatamente i suoi decreti e consenta lo sbarco a tutte le persone naufraghe che da giorni sono costrette a rimanere sulle navi di soccorso.


PRIMI FIRMATARI

ASSOCIAZIONI

Magistratura Democratica, A Buon Diritto, ACAT Italia, ACLI, ActionAid, Amnesty International Italia, ARCI, ASGI, Caritas Italiana, Centro Astalli, CGIL, CIES, CIR, CNCA, Comunità Papà Giovanni XXIII, Emergency, Europasilo, Focus-Casa dei Diritti Sociali, Fondazione Migrantes, Intersos, Legambiente, Medici per i Diritti Umani, Medici Senza Frontiere, Movimento Italiani Senza Cittadinanza, Refugees Welcome Italia, Save the Children Italia, Senza Confine, OXFAM Italia, SIMM, UNIRE, Gruppo Abele, Libera, Baobab Experience, Psichiatria Democratica, Volere la Luna, Coordinamento per la democrazia costituzionale, Associazione Umanitaria Medici contro la Tortura, Associazione Differenza Donna APS ONG, Associazione Nazionale Giuristi Democratici

PRIME ADESIONI INDIVIDUALI

Armando Spataro, Luigi Landolfi, Don Luigi Ciotti, Francesco Maisto, Domenico Gallo, Raniero La Valle, Enrico Peyretti, Patrizia Papa, Chiara Minerva, Luciana Breggia, Nicoletta Maria Mauro, Silvia Manderino, Alfonso Gianni, Daniela Abram, Maria Cristina Canziani, David Cerri, Gabriella Luccioli, Tecla Mazzarese, Maria Paola Costantini, Elena Sciso, Martina Flamini, Maria Grazia Giammarinaro, Adele Del Guercio, Maria Teresa Manente, Barbara Spinelli, Roberto Carelli Palombi, Massimo Mezzetti

Per aderire

Chi volesse unirsi all’appello può firmare compilando questi moduli a titolo individuale o in rappresentanza di un’associazione:

Aggiornamenti

7 novembre 2022 – Il Tavolo Asilo e Immigrazione sottoscrive l’analisi e l’appello proposto da Magistratura Democratica . Leggi il comunicato stampa

7 novembre 2022 – Il Team Sanitario di Mediterranea Saving Humans segnala violazioni del Codice di Deontologia Medica da parte dell’USMAF in merito allo sbarco di naufraghi soccorsi dalle navi della Flotta Civile. Il comunicato stampa

8 novembre 2022 – La recente decisione di far sbarcare da una delle navi solo una parte dei migranti in base a una prima valutazione di “fragilità” da parte del personale del Ministero della Salute, oltre ad andare contro il principio etico del rispetto della vita, della salute fisica e psichica, della libertà e della dignità della persona (art. 5 Codice di Deontologia Medica), rappresenta un ulteriore affronto al principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione, nonché al rispetto delle persone soccorse. Il comunicato stampa della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM).


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Fateli scendere tutti!

L’illegittimo tentativo di fare sbarcare esclusivamente alcuni dei naufraghi e respingere indistintamente tutti gli altri al di fuori delle acque territoriali nazionali si configura, oggettivamente, come una forma di respingimento collettivo, vietato dall’art. 4, protocollo 4 della CEDU; attività, quest’ultima, per la quale l’Italia è già stata condannata in passato .

Il Governo italiano, attraverso il Ministero dell’interno, il Ministero dei trasporti e della mobilità sostenibile e il Ministero della difesa, pone in essere nuovamente attività di criminalizzazione e contrasto alle operazioni di ricerca e soccorso nel Mare Mediterraneo che alcune organizzazioni umanitarie conducono per sopperire alla carenza delle istituzioni.

Invocando un generico pericolo per la sicurezza dell’Italia, posto in relazione allo sbarco di naufraghi, impropriamente richiamando l’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione Onu sul diritto del mare, il Governo impedisce la conclusione delle operazioni di salvataggio di naufraghi (Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza del 20 febbraio 2020, n. 6626).

Il Decreto del 4 novembre 2022 dei citati Ministeri vieta ad una delle navi in questione di “sostare nelle acque territoriali italiane” “oltre il termine necessario per assicurare le operazioni di soccorso ed assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali ed il precarie condizioni di salute” secondo un metodo che potrebbe ripetersi anche nell’immediato futuro.

A tal riguardo, risulta arbitraria quanto approssimativa la distinzione all’interno dei gruppi dei naufraghi che il Governo italiano sta proponendo, come risulta impossibile escludere la situazione emergenziale delle decine se non centinaia di persone a bordo la cui condizione va valutata singolarmente.

L’illegittimo tentativo di fare sbarcare esclusivamente alcuni dei naufraghi e respingere indistintamente tutti gli altri al di fuori delle acque territoriali nazionali si configura, oggettivamente, come una forma di respingimento collettivo, vietato dall’art. 4, protocollo 4 della CEDU; attività, quest’ultima, per la quale l’Italia è già stata condannata in passato (sentenza Hirsi Jamaa c. Italia del 2012).

La condotta governativa si pone, altresì, in contrasto con i principi sanciti nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e, in primo luogo, del principio di non refoulement (art. 33).

In questa condizione pare impossibile immaginare che il comandante della nave debba obbedire all’ordine impartito dalle autorità amministrative italiane, poiché se portasse fuori dai confini italiani i naufraghi potrebbe configurarsi a suo carico, e a carico dell’armatore, una responsabilità per avere prodotto, in esecuzione di un ordine manifestamente illegittimo, una grave violazione dei diritti umani.

A.S.G.I. chiede che tutti vengano fatti scendere nel più breve tempo possibile.

Foto da Humanity /Twitter

Si veda anche

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Le precisazioni della Corte europea di giustizia sui controlli degli Stati di approdo alle NGO impegnate nel soccorso in mare

salvataggio

Con la decisione del 1° agosto 2022 sancisce una serie di principi importantissimi destinati ad avere una ricaduta generale sulle attività di soccorso laddove pone limiti specifici al potere di controllo dello Stato di approdo finora utilizzato in modo molto arbitrario. 

Perché è importante

  • I provvedimenti sono stati lo strumento ricorrente con cui le autorità italiane hanno tentato di fatto di ostacolare le attività delle organizzazioni come SW attive per la salvaguardia della vita in mare nel Mediterraneo nell’ambito delle politiche di esternalizzazione delle frontiere.
  • A causa di tali provvedimenti infatti, adottati sempre a seguito di ispezioni sulla sicurezza delle navi e la regolarità dei certificati e realizzati dalle autorità in maniera sistematica al termine di attività di soccorso, l’operato delle organizzazioni è spesso rimasto bloccato. 
  • La direttiva europea n.2009/16 relativa al controllo da parte dello Stato di approdo deve essere applicata alle ONG, ma il potere di controllo che ne deriva lo Stato di approdo va esercitato in maniera proporzionale ai principi delle Convenzioni e quando vi sia una sistematica attività di soccorso secondo precisi chiari e rigidi criteri e limiti.

La vicenda

Il procedimento riguarda due provvedimenti di fermo amministrativo disposti nell’estate del 2020 dalle Capitaneria di Porto di Palermo e di Porto Empedocle.

Una delle organizzazioni attiva nelle attività di tutela e monitoraggio del rispetto dei diritti umani nel Mar Mediterraneo centrale, la Sea Watch (SW), li impugnava successivamente dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (TAR) . 

Investito della decisione sulla legittimità dei provvedimenti di fermo, il TAR ha rinviato alla Corte di Giustizia l’interpretazione di quattro complesse questioni pregiudiziali riguardanti tutte la portata della normativa europea e in particolare della direttiva n.2009/16 relativa al controllo da parte dello Stato di approdo il suo rapporto con le Convenzioni internazionali sul diritto del mare e per la salvaguardia della vita in mare, i poteri dello Stato di approdo in relazione alle autorizzazioni e alle certificazioni rilasciate dallo Stato di Bandiera.  

La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea

Pur rimettendo la causa al Giudice interno per decidere nel merito della legittimità dei provvedimenti, la Corte di Giustizia con la decisione del 1° agosto 2022 sancisce una serie di principi importantissimi destinati ad avere una ricaduta generale sulle attività di soccorso laddove pone limiti specifici al potere di controllo dello Stato di approdo finora utilizzato in modo molto arbitrario. 

La decisione della CGUE chiarisce che le navi delle ONG non hanno bisogno di alcuna autorizzazione da parte dello Stato di approdo neppure quando svolgono attività di search and rescue in maniera sistematica.  Ribadisce la preminenza del diritto internazionale del mare e della salvaguardia della vita in mare e l’obbligo degli Stati di non ostacolare le attività SAR. In questa prospettiva, la Corte ha anche ribadito che il numero di persone soccorse a bordo non conta ai fini della convenzione SOLAS e che lo stato di approdo non può richiedere alle imbarcazioni certificazioni diverse da quelle la cui validità è stata confermata dallo Stato di bandiera. 

In particolare la Corte ha stabilito che:

1. La direttiva si applica sicuramente alle navi delle ONG e gli Stati membri dell’UE non possono esentarle dalla sua applicazione.

2. E tuttavia la direttiva deve essere letta insieme ed interpretata alla luce dei principi del diritto internazionale, compreso il dovere di salvataggio (art. 98 UNCLOS). Ciò significa che:

  • le persone soccorse non devono essere prese in considerazione quando è necessario verificare l’applicazione alla nave di qualsiasi disposizione della convenzione SOLAS;
  • quando il capitano adempie all’obbligo di salvataggio, né lo Stato del porto né lo Stato di bandiera possono esercitare poteri di controllo per il fatto che la nave trasporta persone salvate.

3. La direttiva deve essere interpretata nel senso di conferire un potere di controllo allo Stato di approdo che tuttavia va esercitato in maniera proporzionale ai principi delle Convenzioni e quando vi sia una sistematica attività di soccorso secondo precisi chiari e rigidi criteri e limiti. Stabilisce infatti che: 

  • Per quanto riguarda il potere di ispezione esso non è giustificato nel suo esercizio dal solo fatto che la nave abbia a bordo un numero di persone superiore a quello consentito dalle certificazioni. Lo Stato di approdo può ispezionare le navi private umanitarie solo in presenza di chiari e dimostrati elementi fattuali e giuridici che dimostrano la sussistenza di un grave pericolo per la sicurezza della navigazione. Si ritiene venga dunque imposto un preciso obbligo di motivazione preventivo all’esercizio del potere di controllo e ispezione. 
  • Per quanto riguarda il potere di fermo deve essere interpretato non come sanzione automatica ma quale misura adottabile al solo scopo di impedire di salpare a una nave che si trova nell’ “impossibilità” di navigare in sicurezza. L’uso non sicuro di una nave per una situazione già consumata ed evidentemente eccezionale non è sufficiente per l’adozione di un provvedimento essendo necessario che il pericolo sia futuro o che sussistano carenze della nave idonee a rendere la stessa non sicura. Il provvedimento di fermo in ogni caso non può essere basato sulla mancanza di certificazioni diverse da quelle rilasciate dallo Stato di bandiera e deve rispettare il principio di proporzionalità.

4. La direttiva deve essere interpretata nel rispetto delle competenze dello Stato di bandiera da parte dello Stato di approdo e nel rispetto del principio di cooperazione tra gli Stati. In questo senso ribadisce la Corte che la richiesta da parte dello Stato di approdo che le navi sottoposte a un’ispezione siano munite di certificati diverse da quelli rilasciate dallo Stato di bandiera o che rispettino  requisiti applicabili alle navi di diversa classificazione, è contraria non solo alle norme di diritto internazionale in materia ma alla direttiva stessa perché mette illegittimamente in discussione il modo in cui lo Stato di bandiera esercita la propria competenza a concedere la nazionalità alle navi e a classificarle e a certificarle. 

La Sentenza del 1° agosto 2022 della Corte di Giustizia dell'Unione europea è stata ottenuta da un collegio difensivo composto da alcune socie Asgi ed in particolare dagli avvocati Lucia Gennari, Giulia Crescini e Cristina Laura Cecchini insieme ai marittimisti Andrea Mozzati ed Enrico Mordiglia. Tuttavia, come dichiarato dagli stessi avvocati, l’attività difensiva che ha portato a questo importante risultato è il frutto del lavoro fondamentale e dell’interesse del mondo accademico. In particolare della Professoressa Francesca De Vittor, della Dott.ssa Claudia Cinnirella, assegnista di ricerca in diritto dell’Unione Europea presso l’Università di Catania, Dipartimento di Giurisprudenza e del Prof. Ulrich Stege della Clinica legale dell’International University College di Torino.

Il Comunicato stampa della Corte di Giustizia UE

La sentenza del 1° agosto 2022 della Corte di Giustizia dell’Unione europea Sentenza della Corte nelle cause riunite C-14/21 e C-15/21| Sea Watch

Foto da Pixabay

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Sea Watch 3, ASGI: Il diritto allo sbarco non va limitato alle persone vulnerabili

Illegittima la direttiva del Ministero dell’Interno: chi salva le persone non è un pericolo per la sicurezza dello Stato

L’IMRCC di Roma (Comando di Guardia Costiera), sulla base di precedenti direttive impartite dal Ministro dell’Interno italiano, ha notificato una intimazione a non entrare in acque territoriali italiane all’equipaggio della Sea Watch 3. Tale equipaggio ha tratto in salvo 65 naufraghi in fuga dalla Libia in cui è in corso un conflitto armato e si trova ai margini delle acque territoriali italiane, ma questa circostanza viene incredibilmente ritenuta dalle autorità amministrative italiane una attività offensiva e pregiudizievole al buon ordine e alla sicurezza dello Stato.

L’intimazione è fondata su una direttiva ministeriale del 15 maggio 2019 motivata anche con i “rischi di ingresso nel territorio nazionale di soggetti coinvolti in attività terroristiche o comunque pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica in quanto trattasi spesso di cittadini stranieri privi di documenti di identità e la cui nazionalità è presunta sulla base delle rispettive dichiarazioni”.

Chiunque conosca il diritto d’asilo sa che da sempre, in tutto il mondo, ogni richiedente asilo per riuscire a fuggire dal proprio Paese quasi mai può tenere con sé documenti di identificazione e che perciò quasi mai l’ingresso degli stranieri richiedenti asilo può essere regolare.

Un eventuale rischio per la sicurezza va verificato con gli strumenti di legge opportuni, una volta avvenuto lo sbarco di tutte le persone nel rispetto delle normative vigenti. Il Ministero dell’Interno non può decidere a chi assegnare i diritti, come avvenuto con lo sbarco a Lampedusa di soli 18 dei 65 naufraghi perché più vulnerabili .

E’ perciò evidente che la direttiva è illegittima allorché afferma che la nave soccorritrice portando stranieri in situazione di soggiorno irregolare rischia di avere violato le norme italiane in materia di immigrazione e perciò di essere pericolosa per la sicurezza dello Stato.

Infatti le stesse leggi italiane sull’immigrazione (art. 10, comma 4 d. lgs. n. 286/1998) prevedono che le norme sui respingimenti non si applicano allorché si debba dare attuazione al diritto di asilo che l’art. 10 della Costituzione italiana garantisce ad ogni straniero a cui nel proprio Paese non sia garantito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Esse, inoltre, prevedono che le persone giunte nel territorio italiano a seguito di operazioni di salvataggio in mare siano assistite, orientate e identificate (art. 10-ter).

Si violano, dunque, la Costituzione italiana e le leggi italiane che ogni Ministro ha giurato di osservare.
Contestualmente il Ministro dell’Interno ha pubblicamente accusato l’equipaggio della Sea Watch 3 di essere composto da “scafisti”, termine che, nel linguaggio corrente, è associato a coloro che commettono il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Tali affermazioni, in mancanza di qualsiasi riscontro oggettivo supportato da decisione giudiziaria definitiva, sono altamente diffamanti.

In queste circostanze, in cui ancora decine di persone sono bloccate in situazione di difficoltà al limitare delle acque territoriali italiane, occorre ribadire che anche le autorità italiane (indipendentemente da quelle di altri Paesi) hanno l’obbligo giuridico innanzitutto di garantire il diritto alla vita delle persone soccorse in mare; devono, dunque, rispettare i principi cardine del diritto internazionale del mare previsti nella Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio in mare, firmata ad Amburgo il 27 aprile 1979 e ratificata dall’Italia nel 1989, nella Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, firmata a Londra il 20 gennaio 1914 e ratificata dall’Italia nel 1980 e la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare,firmata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 e  ratificata dell’Italia nel 1994. Attraverso il rispetto di tali norme devono, anche, adoperarsi affinché le persone che ne abbiano diritto, possano avanzare richiesta di protezione internazionale, in conformità alla Convenzione di Ginevra del 1951 ed alla pertinente normativa europea ed italiana in materia. Eventuali altre esigenze, peraltro inesistenti nel caso specifico, sono effettivamente secondarie rispetto a quanto sopra e, comunque, possono essere garantite senza compromettere i diritti dei singoli e la tenuta dello stato di diritto.
Tali normative impongono di adottare tutte le misure necessarie per soccorrere le persone in difficoltà e farle sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro (ovvero dove sia loro garantito l’aiuto necessario ed il rispetto dei diritti della persona, tra cui l’accesso alle cure mediche ed ogni corretta informazione al fine di potere esercitare il diritto di asilo ed accedere alla relativa procedura).

Quanto sta accadendo viola, invece, oltre che le norme su indicate, la Convenzione europea per i diritti dell’uomo ed, in particolare, il diritto alla vita la vita (art. 2), il divieto di trattamenti inumani e degradanti (art. 3), il divieto di respingimento verso paesi in cui si rischierebbe la vita (principio di non refoulement).

Nuovamente ribadiamo che la Libia, paese in cui infuria un sanguinoso conflitto e dove centinaia di cittadini stranieri sono detenuti in situazioni di tortura e di trattamenti disumani e degradanti, non è Stato sicuro come riaffermato da numerose organizzazioni internazionali .

Perciò ASGI deplora che il Governo italiano violi le norme costituzionali e gli obblighi internazionali dell’Italia, mettendo così a repentaglio la vita di persone inermi.

ASGI ritiene sia improcrastinabile che il Governo italiano:

– provveda immediatamente ad autorizzare l’accesso della Sea Watch 3 nel più vicino porto italiano e lo sbarco immediato delle persone salvate;

– garantisca le dovute misure di accoglienza delle persone sbarcate, in luoghi idonei, ove possano ricevere assistenza medica e di prima necessità adeguata e possano ricevere adeguato orientamento legale per essere informati dei loro diritti e doveri, inclusa la facoltà di presentare domanda di protezione internazionale

– laddove necessario, dia la possibilità alle competenti autorità giudiziarie di nominare uno o più tutori per i minori stranieri non accompagnati, garantendo a questi ultimi tutti i diritti previsti dalla legge italiana.

In mancanza siamo disponibili a supportare e/o promuovere ogni iniziativa per garantire il rispetto dei diritti dei singoli oltre ogni indebita strumentalizzazione della situazione di persone in evidente stato di necessità.

Per contatti Ufficio stampa ASGI – 3894988460 – info@asgi.it

 

Foto tratta da video di SeaWatch

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