Con familiari e sopravvissuti alla Strage di Cutro, tre giorni a Crotone per non dimenticare

Il programma dei tre giorni di denuncia e memoria attorno alla Stragedi Cutro. Dal 24 al 26 di febbraio sport inclusivo, iniziative artistiche, corteo/dibattito e fiaccolata in spiaggia. Continuiamo a batterci per i diritti umani, chiedendo verità e giustizia

Cinquanta tra familiari dei naufraghi e sopravvissuti alla Strage di Steccato di Cutro saranno a Crotone dal 24 al 26 febbraio. Rete 26 febbraio: “Tre giorni insieme a loro per denunciare e non dimenticare

Circa cinquanta (ma i numeri sono in aggiornamento) tra familiari delle vittime e superstiti della Strage di Steccato di Cutro torneranno a Crotone per ricordare l’incubo di quel naufragio del 26 febbraio 2023. Da allora venti corpi non sono più stati trovati, e fra chi è riuscito ad arrivare a terra ancora a qualcuno non è stato riconosciuto lo status di rifugiato, né sono stati attuati i corridoi umanitari promessi. Per questo, per loro e insieme a loro, come Rete composta da oltre 400 realtà e associazioni, abbiamo organizzato tre giorni intensi e con diverse iniziative, dal 24 al 26 febbraio, per ricordare quella che già lo scorso anno denunciammo essere stata l’ecatombe dei diritti umani davanti alle nostre coste e per evidenziare, ancora una volta, le assurde politiche europee dei respingimenti e del diritto di asilo sempre più compromesso.  Tre giorni tra sport inclusivo, musica e denuncia per sensibilizzare e coinvolgere quanta più popolazione possibile.

Iniziamo il 24 febbraio con due eventi. Alle 10.30 il “Friendly match”, partita di calcio antirazzista, senza distinzione di genere, nello stadio “Ezio Scida” organizzata in collaborazione con ResQ People Saving People e con il patrocinio del Crotone FC, aperta ugualmente alla partecipazione di uomini, donne e giovani. Mentre a partire dalle 16, al Museo di Pitagora sarà inaugurata la mostra fotografica “I sogni attraversano il mare”, a cura di Giuseppe Pipita, reporter de Il Crotonese, tra i primi cronisti ad arrivare sulla spiaggia la mattina della Strage. A seguire la piéce teatrale “La renaissance des filles afghanes”, a cura della compagnia Théâtre de Mahoor formata dalla comunità afghana residente in Italia.

Domenica 25 febbraio si parte alle 15 da piazzale Nettuno, in cammino per il centro di Crotone “PER NON DIMENTICARE”. Si farà tappa davanti al PalaMilone, che lo scorso anno diventò la camera ardente dei naufraghi e si concluderà al Museo di Pitagora dove ci sarà un dibattito con interventi di familiari e superstiti insieme ad associazioni, attivisti e ong. Sempre negli spazi del museo sarà possibile firmare l’Iniziativa dei Cittadini Europei (Ice) “stop border violence” che chiede la corretta applicazione dell’art.4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue che proibisce qualsiasi tipo di tortura o trattamento inumano ai confini dell’Europa e vi sarà inoltre l’esposizione artistica del progetto “Mare rosso”.

Per finire, tutte e tutti insieme, ci ritroveremo e ci stringeremo attorno ai familiari dei naufraghi e ai sopravvissuti alle 4 del mattino di lunedì 26 febbraio sulla spiaggia di Steccato di Cutro, nella fiaccolata promossa dalla redazione di “Crotone News”.

Dopo di che saranno proprio i testimoni del dolore della Strage a chiudere questa tre giorni. Alle 9, al Museo di Pitagora, conferenza stampa di familiari e sopravvissuti che racconteranno le loro storie e la loro denuncia contro le politiche europee e l’inerzia consapevole del governo italiano che hanno causato questo disastro.

Tutto questo programma, gli eventi, che insieme ai familiari e ai superstiti sono stati immaginati e realizzati sono ispirati e guidati da richieste e rivendicazioni chiare: corridoi umanitari; politiche migratorie efficienti e concrete, rispettose dei diritti umani universali, della dignità di tutti, in particolare di chi fugge da conflitti, catastrofi ambientali e umanitarie, contesti di gravi crisi sociali ed economiche, persecuzioni. Chiediamo politiche di accoglienza strutturate e non emergenziali; la cessazione di ogni forma di criminalizzazione dei migranti e della solidarietà e lo stop all’industria delle armi, che alimenta e spesso crea le condizioni alla base di guerre e conflitti. I valori che animano la mobilitazione sono quelli ispirati dalla nostra Costituzione, che ci obbliga al rispetto dei diritti e della dignità per tutte e tutti, senza alcuna distinzione di genere, lingua, nazionalità, religione, opinioni politiche, orientamento sessuale, condizioni personali e sociali.

Per informazioni e per aderire alla mobilitazione e alla Rete si prega di scrivere a reteventiseifebbraio@gmail.com

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Il Tribunale per i Minorenni di Catania interviene a tutela dei minori collocati nella tensostruttura di Rosolini

ARCI, ASGI, CNCA, DCI, INTERSOS e Oxfam: “Bene chiusura  del centro di primissima accoglienza, continueremo il nostro lavoro di monitoraggio”.

Il 29 dicembre 2023, il Presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, dott. Roberto Di Bella, insieme alla dott.ssa Rosalia Castrogiovanni, giudice referente area minori stranieri, hanno incontrato i rappresentanti di ARCI, ASGI, CNCA, DCI Italia e INTERSOS per informarli rispetto alle azioni intraprese a tutela dei minori stranieri non accompagnati collocati nella tensostruttura di Rosolini (SR).

Subito dopo la segnalazione da parte delle organizzazioni riguardo le condizioni gravemente inadeguate in cui si trovavano costretti a vivere tali minori, il presidente del Tribunale per i Minorenni di Catania ha dimostrato grande prontezza e sensibilità nell’affrontare la questione, contattando immediatamente il Prefetto di Siracusa, al fine di valutare congiuntamente le condizioni di accoglienza e le criticità presenti.

Quindi il dott. Di Bella ha informato le organizzazioni che non vi erano le condizioni per ratificare le misure di accoglienza predisposte nella struttura di primissima accoglienza di Rosolini, in considerazione della loro inadeguatezza e non conformità alla normativa vigente, e di aver già avviato le procedure per la nomina dei tutori volontari di tutti i minori lì collocati.

Prontamente la Prefettura di Siracusa ha disposto il trasferimento dei minori, alcuni in un Centro di Accoglienza Straordinario per minori ad Augusta (SR), altri in una struttura di nuova apertura a Melilli (SR), predisponendo la dismissione della tensostruttura di Rosolini.

ARCI, ASGI, CNCA, DCI Italia, INTERSOS e Oxfam Italia esprimono vivo apprezzamento per gli interventi adottati e auspicano che tutti i minori collocati nel centro di Rosolini siano stati trasferiti in strutture ove sia pienamente garantita un’accoglienza dignitosa e rispettosa dei loro diritti.

Più in generale, le organizzazioni si impegnano a proseguire, anche nell’ambito delle attività del Tavolo Asilo e Immigrazione, nel monitoraggio delle strutture, nell’interesse pubblico e nel superiore interesse dei minori accolti, a partire dai centri di accoglienza dove gli stessi sono stati trasferiti – di Augusta e di Melilli – auspicando che si ponga fine al più presto al collocamento di minorenni in strutture non conformi alle norme previste dalla legge in materia, in alcuni casi addirittura in condizioni di trattenimento, come avviene ad esempio nell’hotspot di Pozzallo/Cifali (SR) e nei centri di Crotone, Taranto e Restinco (BR), ricordando le recenti decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a tutela di minori non accompagnati trattenuti in alcuni di tali centri.


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Minori stranieri non accompagnati, le associazioni sul comunicato del Governo: “Possibili gravi violazioni”

Boy minore minori

Le Organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti dei minorenni migranti profondamente preoccupate dalle scelte del Governo nel Decreto-legge immigrazione e sicurezza

Chiunque abbia meno di 18 anni è un minorenne e ha diritto a vivere e ad essere protetto e accolto come tale, difeso dai rischi di abusi, sostenuto nel proprio sviluppo. Senza condizioni e senza distinzioni. La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza non fa alcun distinguo: siano italiani o stranieri, maschi o femmine, con o senza documenti, i minorenni sono tutti uguali davanti al diritto internazionale, come per la nostra Costituzione e il nostro diritto interno.

Per tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti che abbiano meno di 18 anni, nessuno escluso, la stessa Convenzione, la più firmata al mondo e parte integrante del nostro diritto pubblico inviolabile di rango costituzionale, prevede un’accoglienza in affidamento in famiglia o in strutture loro dedicate, mai in promiscuità con adulti e certamente non in sezioni di centri destinati a questi ultimi, dei quali peraltro è nota la realtà di profonda inadeguatezza per un minorenne. Ogni trattamento differenziato di chi “ad una prima analisi appaia di età superiore ai sedici anni” come affermato dal Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri che il 27 settembre scorso ha approvato il Decreto legge immigrazione e sicurezza, va incontro al fortissimo rischio di produrre discriminazioni tra minorenni italiani e stranieri e di porsi in drammatico contrasto con il principio del rispetto del superiore interesse del minore.

La determinazione dell’età, sulla quale il dibattito pubblico, spesso in maniera imprecisa e sommaria, si è soffermato nelle scorse settimane, ha tra i suoi scopi quello fondamentale di scongiurare il rischio che un/a minorenne venga per errore considerato/a un adulto/a.

A questo tendono le procedure previste dalla L. 47/2017, attivabili soltanto in caso di fondato dubbio delle autorità sulle dichiarazioni dell’interessato, e i principi fondamentali su cui esse si basano: la presunzione di minore età, il margine di errore e l’applicazione di metodologie multidisciplinari che possono essere applicate, con gradualità e la minore invasività possibile e sempre in seguito a una puntuale, necessariamente preventiva, autorizzazione scritta e motivata della magistratura minorile.

Lo scopo è scongiurare un nefando errore che possa portare un minorenne ad essere espulso o detenuto in spregio alle norme italiane, europee e internazionali.

Il testo delle norme adottate dal Consiglio dei Ministri non è ancora disponibile, né è stato condiviso con chi, nella società civile, da decenni si occupa dei migranti bambini, bambine e adolescenti che arrivano in Italia.

Tali norme, stando a quanto descritto dal comunicato stampa e illustrato in conferenza stampa dal Governo, vanno in senso nettamente opposto rispetto ai principi enunciati e rischiano di minare alle fondamenta le norme esemplari della L. 47, adottate nel 2017 ad ampia maggioranza parlamentare.

Se il testo confermerà l’approccio espresso nelle dichiarazioni, sono possibili gravi violazioni dei diritti fondamentali di migliaia di potenziali minorenni, in particolare se provenienti da paesi cosiddetti “sicuri” e quindi destinati a essere sottoposti a procedure accelerate in frontiera laddove erroneamente considerati adulti.

Se il testo confermerà l’approccio espresso nelle dichiarazioni, aspetti quali il mancato riferimento al fondato dubbio, la mancanza di previa autorizzazione scritta della magistratura minorile e del tutore, e l’applicazione di “rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici” disposti direttamente dalle forze di pubblica sicurezza, con successiva espulsione di chi, secondo questa procedura, fosse dichiarato erroneamente maggiorenne, aprono le porte a un destino rischioso e di possibili gravi violazioni dei diritti fondamentali di migliaia di potenziali minorenni, in particolare se provenienti da paesi cosiddetti “sicuri” e quindi destinati a essere sottoposti a procedure accelerate in frontiera laddove erroneamente considerati adulti.

Questo, per chiunque abbia a cuore la cura e la tutela di bambini e adolescenti, è inaccettabile.

L’Italia si è più volte distinta per l’attenzione ai minorenni, al centro della nostra civiltà e cultura giuridica, e per un generale approccio di tutela verso i piccoli e più giovani migranti, testimoniato ogni giorno da migliaia di tutori e tutrici volontarie, da famiglie affidatarie, attivisti, associazioni e da altre piccole e grandi comunità che più volte si sono strette a incoraggiare, supportare e proteggere i minori non accompagnati nei momenti più difficili.

Per la prima volta dalla sua adozione nel 2017, un Governo della Repubblica ha deciso di intaccare lo scrigno di protezione rappresentato dalla L. 47, senza peraltro chiarire quali siano i dati reali del presunto allarme, che a nessuna delle Organizzazioni firmatarie risulta, rispetto ad abusi diffusi della dichiarazione di minore età. Questo avviene, sorprendentemente, nonostante l’Italia sia stata condannata più volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani per aver collocato minorenni migranti in centri per adulti e aver condotto procedure di accertamento dell’età senza garanzie procedurali sufficienti.

Tutto questo ci rattrista profondamente, ci lascia attoniti. Tuttora la nostra fiducia nei principi costituzionali ci impedisce di credere che avremo a breve un testo di legge che consenta a un minore ultra16enne di permanere in un centro per adulti solo perché non italiano. E che sottoponga ragazzini e ragazzine, loro malgrado senza documenti, a esami non caratterizzati da quel rigore e da quelle garanzie che il nostro ordinamento e tutte le norme e gli standard europei e internazionali vigenti riservano a ogni minorenne in qualsiasi procedura lo riguardi.

Poiché il nostro lavoro è improntato alla fiducia e alla determinazione, ci impegneremo, in dialogo con tutte le istituzioni coinvolte, affinché ciò non avvenga. Non ne va soltanto del destino concreto di migliaia di adolescenti che già molto hanno sofferto, ma dello stesso concetto di protezione del minorenne in quanto tale nel nostro ordinamento, e quindi della tutela complessiva di chi rappresenta il futuro del paese.

Ai.Bi.
Amnesty International Italia
ASGI – Associazioni per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione
Centro Astalli
CeSPI ETS
Cir Onlus – Consiglio Italiano per i rifugiati
CNCA – Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza
CISMAI
Cooperativa CIDAS
Cooperativa CivicoZero
Defence for Children International Italia
Emergency ONG
Oxfam Italia
INTERSOS
Salesiani per il Sociale APS
Save the Children Italia
SOS Villaggi dei Bambini
Terre des Hommes Italia

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Tavolo Asilo e Immigrazione: terzo DL immigrazione in pochi mesi, guerra all’immigrazione come strumento di propaganda

Il governo Meloni interviene ancora una volta nell’arco di pochi mesi per apportare modifiche alla legislazione sull’immigrazione con un intervento che sembra più rispondere a esigenze politiche che non ai bisogni delle persone e dei territori, non offrendo né condizioni di accoglienza adeguate ai migranti né soluzioni concrete alle istituzioni locali e alle migliaia di lavoratori e lavoratrici impegnate a vario titolo in questo settore.

Alle difficoltà di reperimento di posti in accoglienza, queste nuove norme rispondono non con la modifica dei bandi di gara o con la costruzione di nuove strutture, ma con la possibilità di riempire quelle già operanti fino al doppio della loro capienza, in deroga a qualunque norma di sicurezza. Di nuovo si sceglie di adottare un approccio di emergenza e non strutturale. 

In linea con una logica securitaria alla migrazione, il decreto stanzia più finanziamenti alle forze di Polizia, alle Forze Armate e all’identificazione di nuovi centri di trattenimento. Diversamente, non sono previsti nuovi fondi per rispondere alle richieste dei sindaci, che chiedono un rafforzamento dell’accoglienza diffusa e dei servizi del territorio.  L’unica misura prevista riguarda la gestione della spazzatura prodotta dalle strutture di accoglienza, che sarà in capo ai Prefetti fino al 2025. Nessun accenno a centri per minori soli o a fondi per l’integrazione.

L’obiettivo è sempre più quello di colpire indiscriminatamente, senza curarsi delle conseguenze, le persone di origine straniera presenti e quelle in arrivo, alimentando, con le misure introdotte, l’idea che rappresentino un pericolo per il Paese. Il governo parte da urgenze prive di evidenze reali. Quali dati giustificano un intervento straordinario per i lungo soggiornanti se ritenuti socialmente pericolosi? Allo stesso modo, non sono chiari i motivi che hanno portato a un intervento così sconsiderato contro i minori stranieri non accompagnati. Chi dice che il fenomeno dei maggiorenni che si dichiarano minorenni sia realmente problematico? Chi lavora con i ragazzi migranti sa che il rischio è esattamente l’opposto, e riguarda tutti quelli che, finiti nelle reti del traffico di esseri umani, vengono spinti a dichiararsi maggiorenni per sfuggire ai controlli e alle tutele che uno Stato che si dichiara tale deve prevedere. Si è arrivati perfino a pensare di mescolare per mesi ragazzi soli con adulti, in una situazione di promiscuità inconcepibile, e di delegare alla polizia (quindi al Ministero dell’Interno) un processo così delicato come quello dell’accertamento dell’età.

Si tratta in definitiva di un altro tassello della guerra all’immigrazione come strumento di propaganda politica. Manca qualsiasi indicazione su come risolvere i problemi del sistema d’accoglienza oramai allo sbando e su come salvare vite umane, peraltro a pochi giorni dal decennale della strage di Lampedusa. Manca qualsiasi indicazione su come le persone in cerca di lavoro o di protezione potrebbero rivolgersi allo stato per attraversare regolarmente le frontiere, unico strumento concreto per sconfiggere i trafficanti.

Tutto questo non è più tollerabile.

Le forze politiche e le istituzioni, i sindaci e i presidenti di regione, la società civile devono reagire per impedire questa deriva anti democratica.


Per il Tavolo Asilo e Immigrazione:

A Buon Diritto – ACAT Italia – ACLI – ActionAid – Amnesty International Italia – ARCI – ASGI – Avvocato di Strada – Casa dei Diritti Sociali – CIES – CNCA – Commissione Migranti e GPIC – Missionari Comboniani Italia – CoNNGI – Consiglio Italiano per i Rifugiati – Danish Refugee Council Italia – Emergency – Europasilo – International Rescue Committee Italia – Intersos – Italiani Senza Cittadinanza – Legambiente – Medici del Mondo – Oxfam Italia – Refugees Welcome Italia – Senzaconfine – Società Italiana Medicina delle Migrazioni – UNIRE

Foto di Joakim Honkasalo su Unsplash

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Arrivi a Lampedusa: Solidarietà e resistenza di fronte alla crisi dell’accoglienza in Europa!


In seguito all’arrivo di un numero record di persone in movimento a Lampedusa, la società civile esprime la sua profonda preoccupazione per la risposta degli Stati europei in materia di sicurezza, per la crisi dell’accoglienza e ribadisce la sua solidarietà alle persone in movimento che arrivano in Europa. 

Oltre 5.000 persone e 112 imbarcazioni: è questo il numero di arrivi registrati sull’isola italiana di Lampedusa martedì 12 settembre. Le imbarcazioni, la maggior parte delle quali arrivate autonomamente, provenivano dalla Tunisia o dalla Libia. In totale, dall’inizio dell’anno sono giunte sulle coste italiane oltre 118.500 persone, quasi il doppio rispetto alle 64.529 registrate nello stesso periodo del 20221. L’accumulo di numeri non ci deve far dimenticare che, dietro ogni numero, c’è un essere umano, una storia individuale e che le persone continuano a perdere la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa.

Sebbene Lampedusa sia da lungo tempo una destinazione per le imbarcazioni di centinaia di persone che cercano rifugio in Europa, le strutture di accoglienza dell’isola sono carenti. Martedì, il salvataggio caotico di un’imbarcazione ha causato la morte di un bambino di 5 mesi, caduto in acqua e immediatamente annegato, mentre decine di imbarcazioni continuavano ad attraccare nel porto commerciale. Per diverse ore, centinaia di persone sono rimaste bloccate sul molo, senza acqua né cibo, prima di essere trasferite nell’hotspot di Lampedusa.

L’hotspot, un centro di primo filtro dove le persone appena arrivate vengono tenute lontane e separate dalla popolazione locale e pre-identificate prima di essere trasferite sulla terraferma, con i suoi 389 posti, non ha alcuna capacità di accogliere dignitosamente le persone che arrivano quotidianamente sull’isola. Da martedì, il personale del centro è stato completamente sopraffatto dalla presenza di 6.000 persone. Alla Croce Rossa e al personale di altre organizzazioni è stato impedito di entrare nella struttura per “motivi di sicurezza”.

Giovedì mattina, molte persone hanno iniziato a fuggire dall’hotspot saltando le recinzioni a causa della situazione disumana che si stava vivendo. Nel frattempo, di fronte all’incapacità delle autorità italiane di fornire un’accoglienza dignitosa, la solidarietà locale ha preso il sopravvento. Molti abitanti si sono mobilitati per organizzare distribuzioni di cibo per coloro che si sono rifugiati in città2[.

Inoltre, diverse organizzazioni stanno denunciando la crisi politica in Tunisia e l’emergenza umanitaria nella città di Sfax, da cui parte la maggior parte dei barconi per l’Italia. In questo momento circa 500 persone dormono in piazza Beb Jebli, senza quasi nessun accesso a cibo e assistenza medica3. La maggior parte è stata costretta a fuggire da Sudan, Etiopia, Somalia, Ciad, Eritrea o Niger. Dopo le dichiarazioni razziste del presidente della Tunisia, Kais Saied, molti migranti sono stati espulsi dalle loro case e dai loro posti di lavoro4. Altri sono stati deportati nel deserto, dove alcuni sono morti di sete.

Mentre queste deportazioni di massa sono in corso e la situazione a Sfax continua a deteriorarsi, l’UE ha concordato tre mesi fa un nuovo accordo sulla migrazione con il governo tunisino, al fine di cooperare “in modo più efficace sulla migrazione”, sulla gestione delle frontiere e sulle misure “anti-contrabbando”, con una dotazione di oltre 100 milioni di euro. L’UE ha accettato questo nuovo accordo con piena consapevolezza delle atrocità compiute dal governo tunisino, compresi gli attacchi perpetrati dalle guardie costiere tunisine alle imbarcazioni dei migranti5.

Nel frattempo, osserviamo con preoccupazione come i diversi governi europei stiano chiudendo le porte e non rispettino le leggi sull’asilo e i più elementari diritti umani. Mentre il ministro degli Interni francese ha annunciato l’intenzione di rafforzare i controlli alla frontiera italiana, anche diversi altri Stati membri dell’UE hanno dichiarato di voler chiudere le porte. Ad agosto, le autorità tedesche hanno deciso di interrompere i processi di selezione dei richiedenti asilo che arrivano in Germania dall’Italia nell’ambito del “meccanismo di solidarietà volontaria”6.

Invitata domenica a Lampedusa dalla primo ministro Meloni, la presidente della Commissione europea Von der Leyen ha annunciato un piano d’azione in 10 punti che conferma questa risposta securitaria7. Rafforzare i controlli in mare a discapito dell’obbligo di soccorso, aumentare il ritmo delle espulsioni ed intensificare il processo di esternalizzazione delle frontiere… tutte vecchie ricette che l’Unione europea attua da decenni e che si sono rivelate fallimentari, oltre ad aggravare la crisi della solidarietà e la situazione delle persone in movimento.

Le organizzazioni sottoscritte chiedono un’Europa aperta e accogliente e sollecitano gli Stati membri dell’UE a fornire percorsi sicuri e legali e condizioni di accoglienza dignitose. Chiediamo che vengano presi provvedimenti urgenti a Lampedusa e che vengano rispettate le leggi internazionali che tutelano il diritto d’asilo. Siamo sconvolti dalle continue morti in mare causate dalle politiche di frontiera dell’UE e ribadiamo la nostra solidarietà alle persone in movimento!


Firmatari

Afrique-Europe-Interact

Alarme Phone Sahara (APS)

Alarme Phone Sahara – Mali

Alternative Espaces Citoyen – Niger

Anafé (association nationale d’assistance aux frontières pour les personnes étrangères)

Another Europe is Possible

ARCOM – association des réfugiés et communautés migrantes au Maroc

Are You Syrious?

Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) 

Association AFRIQUE INTELLIGENCE

Association Beity

Association d’aide des Migrants en Situation Vulnérable (AMSV) Oujda / Maroc

Association des Etudiants et Stagiaires Africains en Tunisie (AESAT)

Association Féministe Tanit

Association Lina Ben Mhenni

Association de solidarité avec les travailleurS/euses immigré.es (ASTI) des Ulis / France

Association pour la promotion du droit à la différence (ADD)

Association pour les Migrants-AMI, Nîmes, France

Association Sentiers-Massarib

Association Tunisienne de défense des libertés individuelles (ADLI)

Association Tunisienne pour les droits et les libertés (ADL)

Aswat Nissa

Avocats Sans Frontières (ASF)

Association Damj 

BELREFUGEES, Plateforme Citoyenne / Belgium

borderline-europe- Menschenrechte ohne Grenzen

Boza Fii – Sénégal 

CCFD-Terre Solidaire 

CGTM Mauritanie

Chkoun Collective

Coalition des Associations Humanitaires de Médenine

Collectif Droit de Rester, Lausanne

Comité de Vigilance pour la Démocratie en Tunisie – Belgique

Comité pour le respect des libertés et des droits de l’homme en Tunisie (CRLDHT)

CompassCollective

Connexion

Damj l’association tunisienne de la justice et légalité

DZ Fraternité

Emmaüs Europe

European Alternatives 

Fédération des tunIsiens citoyens des deux rives (FTCR) 

Groupe de Recherche et d’Actions sur les Migrations (GRAM), Bamako / Mali

Groupe d’information et de soutien des immigré.e.s (Gisti)

iuventa-crew

Jeunesse Nigérienne au service du Développement Durable (JNSDD) – Agadez / Niger

Komitee für Grundrechte und Demokratie e.V.

La Cimade 

La coalition tunisienne contre la peine de la mort

LasciateCIEntrare 

Ligue Algérienne pour la Défense des Droits de l’Homme (LADDH)

Ligue des droits de l’Homme (LDH) – France

Ligue tunisienne des droits de l’homme (LTDH)

Maldusa

medico international 

MEDITERRANEA Saving Humans

Mem.med:mémoire Méditerranée 

Migrants’ Rights Network

migration-control.info project

Migreurop

MV Louise Michel

Paris d’Exil

Pro-Asyl

Push-Back Alarm Austria

r42-SailAndRescue

Refugees in Libya 

Refugees in Tunisia 

ResQ – People Saving People 

RESQSHIP

Salvamento Marítimo Humanitario (SMH)

Sea-Watch

Seebrücke – Schafft sichere Häfen 

Solidarité sans frontières (Sosf)  

SOS Balkanroute

SOS Humanity

Statewatch

Tunisian Forum for Social and Economic Rights (FTDES) 

Union des travailleurs immigrés tunisiens (UTIT)

United4Rescue 

Vivre Ensemble | asile.ch

Watch the Med Alarm Phone 

Welcome to Europe network 

Zusammenland gUG/ MARE*GO


Note:

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Lavoro, illogico ed irrazionale escludere le persone straniere dal  supporto per l’inclusione lavorativa

L’esclusione colpisce soprattutto le donne straniere, in gran parte titolari di un permesso per ragioni di famiglia, impedendo loro di accedere a questo nuovo canale di inserimento lavorativo, limitandone le possibilità di autonomia e aumentando i rischi di soggezione ed emarginazione.

Il primo settembre è entrata in funzione la piattaforma dedicata alle misure di sostegno, ai percorsi di formazione e alla ricerca del lavoro chiamata SIILS (servizio informativo per l’inclusione lavorativa e sociale), alla quale si possono iscrivere i residenti che non hanno più diritto al Reddito di cittadinanza e che considerati attivabili, potranno accedere al Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl).

Molti hanno già segnalato i gravi difetti del nuovo sistema che limita il sostegno ai soli mesi di partecipazione a un eventuale corso di formazione (semprechè un corso venga offerto), per soli 12 mesi, per un importo minimo (euro 350 mensili),  con un limite ISEE troppo basso (6.000 euro) e con un requisito di 5 anni di residenza. 

Le associazioni firmatarie, oltre a condividere dette critiche,  intendono segnalare una ulteriore assurdità della misura: l’esclusione dei cittadini non UE titolari di permesso per famiglia, lavoro o attesa occupazione (permesso unico lavoro). Si tratta di oltre 1.000.000 di possibili candidati, che – anche qualora si trovino in condizioni di povertà estrema – resteranno esclusi non solo dal sussidio, ma anche da tutte le misure di avviamento al lavoro che il sistema intende offrire (corsi di formazione, colloqui, profilazione, facilitazione nelle assunzioni  ecc.).

L’irrazionalità di tale esclusione emerge immediatamente considerando che si tratta di persone che lo Stato ha autorizzato a fare ingresso in Italia proprio perché lavoratori  o comunque titolari di un permesso che consente di lavorare e dunque è illogico che vengano escluse dai principali canali di accesso all’occupazione: l’interesse pubblico è semmai esattamente opposto e cioè che chi è titolare di un permesso che consente di lavorare venga in ogni modo sostenuto e aiutato nell’accesso al lavoro, anche per rispondere alle migliaia di domande di lavoro che il Ministero dichiara essere già affluite alla piattaforma.

Va aggiunto che l’ esclusione colpisce soprattutto le donne straniere, perché il permesso per ragioni di famiglia è in gran parte rilasciato alle donne che si ricongiungono  con il coniuge già presente in Italia: è quindi paradossale che, dopo le parole spese, anche nel PNRR, a favore di un aumento della partecipazione delle donne al lavoro, proprio loro siano escluse da un nuovo canale di inserimento lavorativo, limitandone le possibilità di autonomia e rafforzando i rischi di soggezione ed emarginazione.

L’esclusione comunque, oltre che irragionevole, è anche illegittima, in quanto  in contrasto con  la direttiva europea 2011/98 che, all’art. 12,  garantisce ai titolari di permesso unico lavoro la parità di trattamento con i cittadini dello Stato ospitante per quanto riguarda l’accesso alla formazione professionale e ai servizi di consulenza dei centri per l’impiego: esattamente ciò da cui la norma nazionale li esclude. 

Le associazioni firmatarie depositeranno pertanto nei prossimi giorni un esposto alla Commissione Europea affinché avvii una procedura di infrazione a carico dell’Italia per violazione della direttiva 2011/98.  In ogni caso invitano sin d’ora Governo e Parlamento a porre rimedio a quanto sopra modificando la norma e consentendo l’accesso al SIILS a tutti gli stranieri regolarmente  soggiornanti. 

ASGI

NAGA

AVVOCATI PER NIENTE

ARCI

UIL 

A BUON DIRITTO ONLUS APS

CAMPAGNA ERO STRANIERO

CNCA – COORDINAMENTO NAZIONALE COMUNITA’ DI ACCOGLIENZA

CITTADINANZATTIVA 

RETE EUROPA ASILO

LUNARIA

COSPE

LES CULTURES- LECCO

MEDU – MEDICI PER I DIRITTI UMANI

DRC – DANISH REFUGEE COUNCIL ITALIA

ACTIONAID

SIMM – SOCIETÀ ITALIANA MEDICINA DELLE MIGRAZIONI

GIURISTI DEMOCRATICI

CAIT – CAMERA DEGLI AVVOCATI IMMIGRAZIONISTI DEL TRIVENETO

ASSOCIAZIONE FORNELLO ODV ONLUS – ALTAMURA 

CARAVAN CENTRO INTERCULTURALE ALTAMURA 

ASSOCIAZIONE “IL GRANDE COLIBRÌ”

ASSOCIAZIONE RENZO E LUCIO, LECCO

LE VEGLIE CONTRO LE MORTI IN MARE

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Il gioco dell’oca del Prefetto di Bologna sui richiedenti asilo

una rete e le persone sfocate sullo sfondo

ASGI denuncia : “L’ordinanza emessa dal Prefetto di Bologna viola manifestamente i principi affermati dalla Corte costituzionale, in quanto è a tempo indeterminato e i criteri con i quali ha selezionato i richiedenti asilo da espellere immediatamente dal sistema accoglienza sono totalmente discriminatori”.

Il 29 luglio 2023 il Prefetto di Bologna ha emesso un’ordinanza di necessità e urgenza a tutela “dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”, ai sensi dell’art. 2 TULPS d.p.r. 773/31, ordinando la revoca immediata dell’accoglienza di un numero imprecisato (da 100 a 269) di richiedenti asilo ospiti dei CAS dell’area metropolitana di Bologna, i quali risultano avere un ricorso pendente per il riconoscimento della protezione internazionale. Il Prefetto ha rilevato che sono presenti nei CAS 269 persone che hanno presentato ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale, per 100 delle quali “non sussistono condizioni di vulnerabilità [e] sono in accoglienza da almeno 3 anni” e dunque possono tranquillamente uscire dall’accoglienza entro 4 giorni!

Ordinanza che è manifestamente illegittima, a partire dal richiamo all’art. 2 TULPS secondo cui il Prefetto “nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.

Disposizione, risalente al periodo fascista, esaminata in più occasioni dalla Corte costituzionale che sin dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso ha subordinato l’esercizio di quel potere straordinario al rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico, indicandone i limiti: devono essere “atti amministrativi limitati nel tempo e nell’ambito territoriale dell’ufficio che li ha emanati, e vincolati ai presupposti dell’ordinamento giuridico” (Corte cost. n. 8/1956). Con successiva pronuncia la Corte costituzionale ha ribadito che “Tali provvedimenti non solo devono rispettare quei precetti costituzionali che siano inderogabili anche per il legislatore ordinario, ma devono mantenersi nei limiti dei principi dell’ordinamento giuridico dello Stato.”, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 2 TULPSin quanto attribuisce ai prefetti il potere di adottare, in caso di urgenza o per grave necessità pubblica, provvedimenti ritenuti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica, senza fissare criteri idonei ad assicurare che la discrezionalità degli indicati organi amministrativi si eserciti nel rispetto dei limiti dell’ordinamento giuridico dello Stato” (Corte cost. n. 26/1961).

L’ordinanza emessa dal Prefetto di Bologna viola manifestamente i principi affermati dalla Corte costituzionale, in quanto è a tempo indeterminato e i criteri con i quali ha selezionato i richiedenti asilo da espellere immediatamente dal sistema accoglienza sono totalmente discriminatori.

L’ordinanza tenta di legittimare il gravissimo dispositivo di revoca immediata dell’accoglienza paventando problemi di ordine pubblico per l’arrivo nell’area metropolitana di Bologna (che conta ben 55 comuni) di 511 richiedenti asilo, entrati di recente sul territorio nazionale e che sono stati (o stanno per essere) inviati sul territorio nell’ambito del Piano di riparto nazionale. Ordine e sicurezza pubblica che sarebbero, dunque, minati se non liberati i posti da chi ne ha per legge diritto, “in quanto determinerebbe la presenza sul territorio di centinaia di persone non solo sprovviste di mezzi di sussistenza materiale ma anche prive di strumenti di orientamento in autonomia”.

Con un’operazione manipolatoria del principio di bilanciamento degli interessi dello Stato e dei richiedenti asilo ospiti dei CAS, l’ordinanza afferma che “risulta maggiormente adeguato disporre l’uscita dai CAS di persone che già da anni fruiscono di misure di accoglienza e che hanno visto già rigettata l’istanza di protezione internazionale in quanto capaci di orientarsi sul territorio maggiormente autonomi”.

In realtà, con questa operazione si contrappongono i richiedenti asilo e i loro diritti, quelli arrivati prima con quelli arrivati oggi, in una inaccettabile graduatoria del bisogno e nascondendo che il vero problema di ordine pubblico è rappresentato dallo Stato e dalle sue istituzioni periferiche, le quali da mesi non organizzano il sistema di accoglienza, lasciano per strada i/le richiedenti asilo, impongono mesi di attesa prima di formalizzare la domanda di protezione internazionale (comportamenti, peraltro, già stati censurati anche dalla magistratura).

Nonostante l’evidente responsabilità dello Stato, si cerca di stravolgere la realtà imputando ai nuovi richiedenti asilo criticità da esso stesso determinate e facendone strumento di espulsione dal sistema accoglienza (già di per sé inadeguato secondo gli standard europei) per coloro che sono arrivati prima e che hanno avuto l’ardire di contestare davanti al Tribunale le decisioni di rigetto della domanda di protezione internazionale. Richiedenti asilo che finiranno certamente per strada per l’incapacità o la non volontà dello Stato di tutelarli nel rispetto di precise norme costituzionali, nazionali e internazionali.

L’ordinanza del Prefetto di Bologna viola i principi ordinamentali, nazionali e europei, in quanto:

  • è la legge a stabilire il diritto del/della richiedente asilo a rimanere in accoglienza anche nelle more del ricorso proposto per avere il riconoscimento della protezione internazionale (art. 14, co. 4 d.lgs. 142/2015);
  • la Direttiva 2013/33/UE (cd. accoglienza) prevede che le misure di accoglienza possano essere disposte su base individuale, in modo “obiettivo e imparziale e motivate … e tenendo conto del principio di proporzionalità” (art. 20, par. 5) e in presenza di ipotesi tassative, tra le quali non c’è sicuramente l’incapienza (ritenuta o reale) dei posti di accoglienza;
  • la Direttiva accoglienza, infatti, prevede che nei casi, tra gli altri, di indisponibilità temporaneamente esaurite delle capacità di accoglienza, possano essere “in via eccezionale” stabilite misure di accoglienza diverse da quelle ordinarie, ma non legittima certamente la revoca totale delle stesse, tanto che stabilisce che debbano essere “per un periodo ragionevole e di durata più breve possibile” (art. 18, par. 9).

Disposizioni tutte violate dall’inaccettabile ordinanza prefettizia, in cui peraltro si vuole dimenticare che:

  • I tempi di permanenza nei centri di accoglienza non dipendono dalla volontà del richiedente asilo ma dall’estrema lentezza delle Istituzioni nell’esame della domanda di protezione internazionale e nella decisione, anche in sede giurisdizionale (tempi medi: 3 anni solo per il giudizio);
  • Il reperimento di un’abitazione in tutta l’area metropolitana bolognese è notoriamente un’impresa impossibile, non solo per i/le cittadini/e italiani, ma anche e soprattutto per le persone straniere, per la prevalenza, soprattutto a Bologna, dei B&B e di un conseguente mercato dell’affitto limitato e incompatibile con le risorse di gran parte della popolazione; difficoltà che aumentano ancora di più per le persone straniere, a causa della precarietà del permesso di soggiorno in loro possesso (per richiesta asilo ma anche per i lavoratori, i quali rimangono con la mera ricevuta per un anno o anche più) e per mancanza di garanzie da parte di terzi, pretese dai proprietari.

Situazione ben nota al Prefetto, così come alle altre Istituzioni locali.

Come può pretendersi che 100 o 269 persone reperiscano in 4 giorni un’abitazione, se per mesi non sono riusciti a trovarla, non per propria incapacità ma per la descritta situazione?

Il Prefetto non può far finta di non sapere che le centinaia di persone cacciate improvvisamente dai CAS saranno costrette a vivere per strada e con il rischio anche di perdere il lavoro eventualmente in corso, con lesione dei loro diritti fondamentali e determinando sì problemi di ordine pubblico.

Si ricorda al Prefetto che secondo la Corte europea dei diritti umani “Lasciare una persona vulnerabile per strada senza alcun sostegno materiale costituisce un trattamento disumano e degradante vietato dall’articolo 3 della Convenzione” (CEDU M.S.S. c. Belgio, n. 30696/09, § 263) e ha ricordato che nemmeno un crescente afflusso di migranti può sollevare uno Stato dagli obblighi che gli derivano dall’art. 3 CEDU (M.S.S. c. Belgio e Grecia, cit. Belgio e Grecia, sopra citata, § 223; si veda anche Hirsi Jamaa e altri c. Italia, n. 27765/09, §§ 122 e 176; Khlaifia e altri c. Italia, n. 16483/12, § 184; e N.H. e altri c. Francia, nn. 28820/13, 75547/13, 13114/15, § 157).

Anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato che “La direttiva 2003/9 deve essere interpretata nel senso che essa non osta a che gli Stati membri, in caso di saturazione delle strutture d’alloggio destinate ai richiedenti asilo, possano rinviare questi ultimi verso organismi appartenenti al sistema generale di assistenza pubblica, purché tale sistema garantisca ai richiedenti asilo il rispetto delle norme minime previste da detta direttiva” (CGUE causa C- 79/13), esprimendo dunque la regola secondo cui deve essere comunque garantito ai richiedenti asilo l’accesso all’assistenza pubblica.

Alla luce di quanto sopra, ASGI chiede:

  • Al Prefetto di Bologna la revoca immediata in autotutela dell’ordinanza 29.7.2023
  • Al Comune di Bologna di farsi carico della questione indicando le soluzioni per l’accoglienza dei richiedenti asilo in arrivo nell’area metropolitana di Bologna, che comprende ben 55 comuni , evitando l’espulsione dei richiedenti asilo che già vivono nei CAS.

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Accoglienza nel vicentino: sistema nazionale sottostimato e riforme normative inadeguate. A rischio i diritti fondamentali

Nel vicentino, richiedenti asilo e minori stranieri non accompagnati sbarcati nel Sud Italia vengono lasciati nelle piazze davanti ai municipi o alle poste, senza che vi sia stato alcun tipo di coordinamento o misura di accoglienza. 

I recenti trasporti da parte del Ministero dell’Interno nei comuni vicentini di richiedenti asilo sprovvisti di alcuna misura di accoglienza sono la riprova dell’assetto illegale e caotico in cui il Ministero dell’interno ha lasciato il sistema di accoglienza. I richiedenti asilo si ritrovano catapultati in realtà territoriali impreparate, che  non hanno gli strumenti per garantire una sistemazione dignitosa, nè tantomeno sembrano in grado in questo momento di offrire percorsi di integrazione, senza che siano loro messi a disposizione in precedenza neppure di centri di accoglienza governativi.

L’intero sistema resta sottostimato a livello nazionale e locale circa i fabbisogni di accoglienza.

L’attuale grave situazione va altresì ricondotta alla mancata riforma della normativa in materia di accoglienza prevedendo il superamento dell’attuale sistema volontaristico e sperimentale che caratterizza il SAI nella direzione di un progressivo trasferimento delle competenze amministrative in materia di gestione dell’accoglienza agli enti locali in armonia con quanto previsto dall’ordinamento costituzionale. Solo una tale riforma, da tempo invocata, ma mai realizzata, è in grado di assicurare il corretto funzionamento di un sistema che coinvolga in modo ordinato tutti i comuni italiani e renda l’accoglienza stessa parte integrante e strutturale del sistema territoriale dei servizi socio assistenziali. 

La vera emergenza dunque non sono certo gli stranieri salvati da fughe in mare da realtà opprimenti in Libia o in Tunisia, bensì la costante imprevidenza da parte dello Stato nella stima dei fabbisogni di accoglienza.

Più che nell’agire delle singole realtà istituzionali locali, le cause ultime di questo evidente dissesto stanno nell’azione di governo e delle politiche tese allo smantellamento del precedente sistema di accoglienza, le cui conseguenze si riversano interamente, oltre che sulle vite delle persone migranti, sui territori in cui esse vengono inviate. Una simile condotta, quand’anche non sia una scelta consapevole e mirata, finisce col creare pressione a livello sociale, alimentando stereotipi e pregiudizi di una migrazione le cui cause sono ben lontane da una ricerca di mero benessere.

L’Asgi, anche attraverso la sua sezione territoriale del Veneto, ricorda a tutte le istituzioni statali, regionali e locali i doveri inderogabili di solidarietà e il diritto di asilo, previsti dagli articoli 2 e 10 della Costituzione e gli obblighi di fornire immediatamente concrete misure di accoglienza alloggiativa agli stranieri sprovvisti di mezzi i quali abbiano manifestato la loro volontà di presentare domanda di protezione internazionale, previsti dalla direttiva UE e dal d. lgs. n. 142/2015.

Perciò chiede anzitutto ai Prefetti e al Ministero dell’interno, che ne hanno la primaria competenza, e a tutte le altre amministrazioni regionali e locali di evitare ogni omissione di soccorso nei confronti delle persone in fuga dalle guerre e persecuzioni, e di riprodurre la medesima sinergia messa in atto per provvedere all’accoglienza delle migliaia di sfollati in fuga dalla guerra in corso in Ucraina.

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Rotta balcanica, prove e testimonianze confermano le riammissioni a catena. Condanna al risarcimento del danno per il Ministero

L’illegittimità insita nella riammissione informale operata dalle autorità di polizia italiana alla frontiera tra Italia e Slovenia,  i trattamenti inumani e degradanti relativi alla riammissione a catena verso la Bosnia ed Erzegovina e il contestuale mancato accesso alla procedura di asilo politico determinano un diritto al risarcimento del danno in capo al destinatario di tale procedura.

Con la recente ordinanza del 9 maggio 2023 il Tribunale di Roma ha ribadito i principi già affermati con l’ordinanza del Tribunale di Roma del 18 gennaio 2021, accogliendo il ricorso di un cittadino pakistano il quale, nonostante l’ingresso in Italia avvenuto il 17 ottobre del 2020 e la contestuale manifestazione di volontà di domandare protezione internazionale, era stato riammesso in Slovenia e successivamente in Croazia e poi respinto in Bosnia ed Erzegovina, secondo il meccanismo della riammissioni informali particolarmente implementato  in quel periodo.

Con tale decisione il Tribunale ha ribadito l’illegittimità della procedura di riammissione attuata al confine orientale italiano sulla base di un accordo siglato tra Italia e Slovenia nel 1996, mai ratificato dal Parlamento italiano. Procedura che il Governo italiano, dopo averla sospesa a seguito della decisione del gennaio 2021, ha deciso di ripristinare a partire da novembre del 2022 seppur non, formalmente, nei confronti di coloro che chiedono protezione internazionale.

Tale  procedura, ha osservato il Tribunale, “deve in primo luogo qualificarsi come antigiuridica e dunque illegittima per contrasto col diritto interno, anche di rango costituzionale, e internazionale, con valore di fonte sovraordinata ai sensi dell’art 117 Cost. Tale condotta è stata inoltre posta in essere nonostante le autorità responsabili conoscessero, o almeno avrebbero potuto (e dovuto) conoscere, le conseguenze della riammissione stessa, alla luce dei numerosi rapporti citati già allora esistenti”.

In particolare la condotta, in palese violazione delle norme internazionali, europee e interne che regolano l’accesso alla procedura di asilo, è illegittima perché  eseguita senza la consegna agli interessati di alcun provvedimento e senza alcun esame delle situazioni individuali, dunque con chiara lesione del diritto di difesa e del diritto alla presentazione di un ricorso effettivo.

Inoltre essa è realizzata mediante un trattenimento di fatto esperito senza alcun ordine dell’autorità giudiziaria e, non da ultimo, essa è in palese contrasto con l’obbligo di non refoulement. 

L’ordinanza riconosce altresì la compiuta dimostrazione dei fatti essendo stata provata in giudizio grazie alla collaborazione con PIC (Pravni center za varstvo človekovih pravic in okolja – Legal Centre for the Protection of Human Rights and the Environment) la catena immediata di riammissioni subite dal ricorrente dall’Italia alla Slovenia e dalla Slovenia alla Croazia e poi la presenza del medesimo in Bosnia. La solidità delle prove documentali che nell’ambito di questo giudizio è stato possibile produrre segna un importante passo in avanti nella ricostruzione delle modalità di esecuzione delle riammissioni e conferma di fatto quanto già posto all’attenzione del Tribunale di Roma nel procedimento deciso il 18 gennaio 2021 relativo ad un altro caso di riammissione che risultava tuttavia più debole dal punto di vista probatorio.

Inoltre, grazie  all’intervento in giudizio dei testimoni, Elisa Oddone e Diego Saccora, l’ordinanza ha valutato raggiunta una rigorosa prova del danno, consistente nelle condizioni degradanti in cui il ricorrente si è trovato respinto in Bosnia rischiando per la propria incolumità.  

Il Tribunale ha dunque concluso riconoscendo che “la descritta condotta illegittima non incolpevole dell’Amministrazione abbia arrecato un danno ingiusto al ricorrente, esponendolo a serie e molteplici violazioni dei suoi diritti fondamentali”.

La decisione, ottenuta dalle avvocate Caterina Bove e Anna Brambilla dell’ASGI, è stata il frutto di un lavoro di rete che ha visto coinvolti diversi soggetti attivi nel contrasto alle violenze verso le persone in movimento attivi lungo la rotta balcanica, tra i quali la rete Ri-Volti ai Balcani (in particolare Gianfranco Schiavone e Agostino Zanotti), la giornalista Elisa Oddone, l’ONG  “Lungo la rotta balcanica”, l’associazione PIC (in particolare Ursa Regvar), il progetto Medea dell’ASGI, ICS Ufficio Rifugiati, Linea d’ombra, il Centro per la Pace di Zagabria, Anela Dedic e tutti gli attivisti e attiviste che agiscono per la tutela per i diritti umani in Bosnia ed Erzegovina e lungo le rotte percorse dalla persone in transito.

Foto da Ri-Volti ai Balcani

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Premio Maurizio Cossa sulle migrazioni climatiche: al via la seconda edizione

ASGI e la Famiglia Cossa insieme aprono la seconda edizione del premio di laurea sulle migrazioni climatiche, dedicato alla memoria di Maurizio Cossa, avvocato torinese mancato a febbraio 2022 e socio dell’ASGI fin dai primi anni ’90.

Grazie al contributo dei donatori che hanno risposto alla raccolta fondi, il Premio Maurizio Cossa dell’ammontare di 2.500 euro verrà assegnato tramite concorso a una tesi di laurea che affronta i temi delle migrazioni ambientali e del diritto d’asilo, ispirato sia agli interessi di Maurizio sia al suo percorso professionale e di militanza politica e associativa.

Impegnato nello studio e nella difesa dei diritti umani, da sempre estremamente attento ai temi ambientali connessi alla limitatezza e delle risorse e al loro utilizzo a discapito delle popolazioni locali, Maurizio Cossa è stato tra i primi ad intuire l’importanza del cambiamento climatico come spinta alle migrazioni prima ancora che la categoria dei migranti ambientali fosse ufficialmente affiancata a quelle dei migranti economici e politici. 

La sua prematura scomparsa ha lasciato un grande vuoto a cui vogliamo rispondere dando attivamente continuità al suo impegno di ricerca e studio coniugato con la promozione del diritto alla protezione e favorendo la conoscenza delle tematiche dell’ambiente connesse alle migrazioni” ricorda l’avvocato Lorenzo Trucco, presidente ASGI e amico di Maurizio.

Istituendo questo Premio di Laurea si vuole riconoscere l’impegno di quanti, come Maurizio, hanno deciso di svolgere e portare avanti un lavoro di ricerca delle cause delle migrazioni con attenzione per le vite di coloro che lasciano forzatamente le loro terre a seguito di catastrofi dovute al cambiamento climatico, di cui noi rimaniamo la prima causa.


Il bando

Il bando del concorso con il regolamento

Domanda di ammissione

GDPR e Liberatoria privacy


premio maurizio cossa

La tesi premiata nella prima edizione

La prima edizione del 2022 ha premiato la tesi di laurea di Alessia Tomatis che affronta le problematiche giuridiche della tutela dei cosiddetti rifugiati climatici, partendo da un’analisi molto approfondita sugli strumenti di tutela esistenti a livello europeo e internazionale, soffermandosi a lungo anche sugli strumenti di soft law. Il lavoro procede in maniera critica, ponendosi interrogativi non solo sulle possibili effettive tutele esistenti e sulla loro tormentata applicabilità, ma volgendo uno sguardo anche al futuro incluse le forme applicative dell’asilo ai sensi dell’art. 10 della Costituzione.

maurizio cossa

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